domenica, Novembre 24 2024

Dei problemi di Facebook si parla molto ultimamente a proposito dello scandalo di Cambridge Analytica, società che ha venduto dati personali dei profili di 87 milioni di utenti del social network (87 milioni che sappiamo a data di 5 aprile) a clienti terzi per scopi comerciali e politici. Zuckerberger, un tempo il mito del “web e della società aperta”, è in queste settimana alle prese col tentativo di drenare l’erosione della reputazione del gigante di Internet, le ingenti perdite in borsa della sua azienda, dell’emorragia di utenti, delle richieste dei corpi legislativi negli Stati Uniti e in Europa per spiegarsi. Insomma, una politica di contenzione dei danni di uno di Cinque Big di Sillicon Valley, e che può rivelarsi un gigante di carta pesta… virtuale.

Ma il problema non è nuovo. E’ solo che l’opinione pubblica o, meglio, i mass media guardavano altrove. Forse l’”ossesione” di certi media sulle pressioni russe nelle campagne elettorali americana, del Brexit, Italia ha portato a svegliare il cane che dormiva. Ben venga questo risveglio, che alcuni osservatori più attenti avevano già denunciato, come rivela questo studio “Facebook usa dati sensibili per la pubblicità in Europa”, realizzato da tre ricercatori dell’università Carlos III di Madrid e pubblicato nel febbraio di quest’anno. Ma cosa aveva scoperto questa ricerca? Un dato sarà più significativo di tante parole: Facebook ha in mano i dati personali e sensibili (opinioni politiche, religione, appartenenza sindacale, dati sanitari, vita e orientamento sessuale) di circa il 40% del totale dei cittadini europei. Questo significa che i dati personali di circa 205 milioni di europei non sono completamente anonimi e la loro identità potrebbe essere identificabile in base ai dati archiviati su Facebook mettendo in serio pericolo la privacy degli utenti. Ma la cosa ancora più incredibile è che Facebook maneggia questi dati senza il consenso degli iscritti. Vediamo come.

“Facebook usa dati sensibili per la pubblicità in Europa”: lo studio

Secondo i dati raccolti dallo studio dei tre ricercatori madrileni, Facebook assegna a ciascun utente un insieme di “preferenze annuncio”, ossia un insieme di interessi, derivati dai dati e dall’attività dell’utente nel social e sui siti web esterni, sulle app e sui servizi online dove Facebook è presente. Queste “preferenze annunci” sono in effetti gli interessi offerti agli inserzionisti in Facebook Ads Manager per configurare i propri annunci pubblicitari. Pertanto, se a un utente viene assegnato “Orologi” all’interno dell’elenco preferenze annuncio, questo sarà un potenziale bersaglio di qualsiasi campagna pubblicitaria configurata per raggiungere gli utenti interessati a “orologi”.

Nella maggior parte dei casi, le “preferenze annunci” sono desunte dall’attivazione di un profilo utente di Facebook . La cosa incredibile è che l’utente non può revocare il consenso esplicito a Facebook per elaborare i dati personali a scopo pubblicitario. Inoltre, accentando i “Termini di servizio”, gli utenti concedono il permesso di elaborare e archiviare i dati personali, ma non vi è alcun riferimento ai dati sensibili, che vengono invece regolarmente maneggiati da Facebook.

In conclusione, i ricercatori – José González Cabañas, Ángel Cuevas e Rubén Cuevas – affermano che Facebook sta “sfruttando commercialmente dati personali sensibili per scopi pubblicitari”, una pratica vietata dal nuovo GDPR – Regolamento Europeo in materia di Protezione dei Dati Personali – in arrivo il prossimo 25 maggio e punibile con multe pari al quattro per cento del fatturato globale annuale della società.

E’ in arrivo il nuovo regolamento Europeo per la tutela dei dati: si chiudono gli occhi per i giganti del Web?

Ciò che stupisce davvero è che la mole di dati, conservata e trattata da Facebook, è stata raccolta per anni, senza che i legislatori prendessero provvedimenti. Solo un anno fa è stato approvato il GDPR ossia il Regolamento Europeo in materia di Protezione dei Dati Personali, che entrerà pienamente in vigore dal 25 maggio prossimo in tutti i Paesi membri dell’Unione Europa.

Grazie a questo nuovo Regolamento tutti i dati forniti sul web potranno essere raccolti e trattati solo in presenza di un consenso esplicito. Ma, nonostante l’articolo 9 del GDPR prevede il divieto di “trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona”, è prevista un’eccezione per Facebook e tutti gli altri giganti del web che potranno trattare questi dati sensibili solo se “l’interessato ha prestato il proprio consenso esplicito”. Quindi nel caso di Facebook, al momento dell’apertura dell’account, accettando i termini di servizio.

Il diritto all’oblio con il GDPR

Il diritto all’oblio, invece, permette di richiedere che i propri dati vengano eliminati nel caso in cui siano obsoleti o non sussistano più i motivi per il loro trattamento. Dal momento di entrata in vigore nel maggio 2014, della precedente normativa sulla privacy, nota come Cookie policy, i link rimossi da Google per adempiere al diritto all’oblio richiesto dagli interessati erano già più di 220.000. Ma per quanto riguarda i profili social? Si vede davvero riconosciuto il diritto all’oblio delle informazioni?

Già, perché non tutti sanno che nel momento in cui una persona richiede di eliminare il suo account, Facebook, ad esempio, non elimina i dati ma li mantiene nel proprio database. Ed ecco perché se si elimina un account e si tenta di iscriversi nuovamente dopo un periodo di tempo, ci si ritrova di fronte al vecchio account con la possibilità di riattivarlo.

Va detto che per poter eliminare definitivamente un contenuto, condiviso più volte, significherebbe dover tracciare a monte ogni singolo contenuto e a quel punto il diritto alla privacy sarebbe ancora più compromesso. Il dibattito su questo punto è ancora molto acceso.

Attenzione alla App che possono usare i nostri dati

Capita spesso che su Facebook si compilino test di personalità o si dia accesso ad altre app per giochi. Quello che non sappiamo e che ogni volta che autorizziamo un’app ad accedere al nostro profilo, stiamo dando accesso ai nostri dati. Per controllare quindi se ci sono app che usano i nostri dati, bisogna andare sulle impostazioni delle applicazioni e controllare tutte le App, cancellando quelle che non si usano o che usano dati che non si vogliono divulgare a terzi.

Sempre nella stessa sezione, nell’ultimo riquadro, ossia “App usate dagli altri”, si forniscono informazioni che i nostri amici possono “condividere” con altre app quando le usano: in questo caso, il consiglio è quello di deselezionare tutto.

Attenzione anche alla geolocalizzazione, forse è il caso di disattivarla dalle impostazioni App del cellulare, deselezionando “La tua posizione” per Facebook dalle possibilità. Rendiamo complicata la vita all’occhio del Grande Fratello.

Previous

Lettera di una mamma al Creatore

Next

Una nuova ricerca ci svela i punti di forza e di debolezza dei giovani nel rapporto con media e tecnologia

Check Also