lunedì, Novembre 18 2024

Il dizionario australiano Macquarie l’ha eletta “parola dell’anno” nel 2019 ed è una forma moderna di censura, che assume le connotazioni dell’ostracismo. Stiamo parlando del fenomeno della “cancel culture”. Per definizione è l’“atteggiamento all’interno di una comunità che richiede o determina il ritiro del sostegno a un personaggio”.

La cancel culture come forma di protesta

Secondo Clyde McGrady, che ne parla su Washington Post, ciò che avviene con la “cancel culture” è “più simile all’atto di cambiare canale, anziché chiedere all’emittente di cancellare il programma”.

I Social, che riescono a rendere persone più o meno comuni delle piccole o grandi emittenti di comunicazione, permettono a chiunque: da un lato di diffondere contenuti e idee semplicemente utilizzando uno smartphone, dall’altro di fare la propria parte per “zittire” personaggi pubblici da cui si è stati delusi e con i quali ci si viene a trovare fortemente in disaccordo (ad esempio per delle posizioni ritenute razziste, maschiliste, omofobe, per aver truffato ecc.).

Cancellare qualcuno sui social è un modo per dire: “Hai esagerato, smetto di seguirti, non hai più il mio supporto”. Questo, ovviamente, ad alti livelli, può avere importanti ripercussioni economiche. Pensiamo ad un influencer, che vive dei consensi del pubblico e guadagna con essi. Una “cancellazione di massa” può intaccare seriamente la sua attività commerciale.

Il concetto di “cancel culture” applicato alla storia

L’atteggiamento proprio di chi segue la filosofia della “cancel culture” può riguardare anche la volontà di sopprimere delle tracce di un passato caratterizzato da ideali considerati anacronistici per i tempi attuali.

Pensiamo al Manifesto dei Giochi Olimpici di Parigi: sulla cupola di Les Invalides la croce diventa una guglia e scompare la bandiera tricolore transalpina. L’idea di fondo che sta dietro a questa operazione è che per prendere le distanze dal cristianesimo (considerato oscurantista e superato) occorre rinnegare che esso ci sia stato e abbia lasciato tracce indelebili e innegabili.

Posto che non tutti i francesi credono che il cristianesimo sia superato e che non tutti desiderano rinnegare le proprie radici cristiane, è proprio della “cancel culture” – in questo caso in nome di un profondo sentimento laicista – nascondere il passato anziché rispettarlo per ciò che è stato, confrontarsi con esso, dialogarci.

La “cancel culture” e le rappresentazioni artistiche

Un altro esempio di “cancel culture” è l’intento di censurare o di eliminare dal panorama culturale delle fiabe perché in alcuni tratti della storia si trovano valori ritenuti dissonanti con quelli più diffusi nella cultura presente.

Cenerentola, Biancaneve, La Bella Addormentata nel bosco: sono solo alcuni titoli rappresentazioni artistiche boicottate, in particolare da alcuni movimenti femministi, per vari motivi. Non sarebbe bene, ad esempio, mostrare una donna che arriva in una casa abitata da uomini (i nani, in Biancaneve) e, come prima cosa, prende in mano una scopa per pulire. Non sarebbe bene mostrare che “la salvezza”, dopo l’incantesimo della strega malvagia, avviene grazie al bacio di un principe azzurro.

I motivi di un’operazione di “cancel culture” possono essere comprensibili in taluni casi. Tuttavia, nascondere il passato, anziché entrare in contatto con esso e mostrare l’evoluzione avvenuta nel tempo, può portare più danni che benefici.

Al di là del fatto che, il più delle volte, le fiabe contengono degli archetipi perennemente validi dal punto di vista antropologico (seppure siano state concepite in epoche precise, con valori di riferimento in certi casi differenti), il vero punto della questione è un altro: la “cancel culture”, eliminando in modo ideologico tutto ciò che non si allinea alla cultura dominante del presente non permette alle nuove generazioni di sviluppare un proprio pensiero critico.

Dialogare con il passato, non eliminarlo

La “cancel culture” dovrebbe cancellare millenni di storia. E ciò non è auspicabile.

Pensiamo ai giovani liceali che studiano la cultura greca e romana. Il confronto con le civiltà del passato – che pure avevano certamente un modo di pensare differente dal nostro su molti aspetti, basti pensare a come i romani di duemila anni fa utilizzavano il Colosseo – permette di comprendere meglio le tappe del pensiero, di scoprire come si è arrivati alla cultura odierna, cosa c’è stato di buono e, infine, cosa si può recuperare dal passato.

Perché, inoltre, la cultura attuale dovrebbe rappresentare il punto di arrivo del pensiero dell’umanità?

Porsi in dialogo con il passato è una forma di apertura mentale, implica onestà intellettuale e permette di assumere liberamente le proprie posizioni.

Alcune riflessioni generali

Premesso che ognuno è libero di seguire chi desidera – solitamente chi condivide con lui, o lei, valori e interessi – è bene riflettere sul fatto che, anche se una celebrità o un politico sbaglia o afferma qualcosa di inappropriato, nessuno è solo ed esclusivamente la somma dei suoi errori e che, dal punto di vista antropologico e linguistico, l’idea di “cancellare” qualcuno è quanto meno rischiosa. Si può non appoggiare una persona e anche smettere di ascoltare ciò che dice, ma occorre prestare molta attenzione ai termini che si usano e spiegare, soprattutto ai ragazzi, che nessuno merita di essere “cancellato dalla faccia della terra”, anche ammesso che abbia sbagliato.

Per quanto riguarda la storia, le opere letterarie, i film, i cartoni animati, è molto più utile, come accennavamo poc’anzi, aiutare i ragazzi a riflettere sui valori nei quali si riconoscono. Cancellare una croce dalla guglia è ridicolo, così come non è segno di buon senso eliminare film come Biancaneve, quasi se non fosse mai esistito. Non è forse più sensato mostrare loro la realtà per quella che è e che è stata, e chiedere: in quali valori vi riconoscete? In quali aspetti, invece, sentite che questo modo di pensare o questo racconto è distante da voi?

Previous

I giovani cercano guide sicure: la discarica trasformata in oratorio

Next

Musica trap: rivoluzione musicale o povertà culturale?

Check Also