venerdì, Novembre 22 2024

Sono sempre stata sostenitrice del fronte pro-life: ho sempre ritenuto assurdo non riconoscere che una vita umana sia meritevole di rispetto sin da quando viene concepita. Certamente questa visione poggia anche sulla mia fede, ma non credo ci sia bisogno di essere cattolici per constatare che un bimbo in pancia ha, sin dall’inizio, un suo nuovo patrimonio genetico, un proprio principio vitale (indipendente da quello della madre) e un piccolo cuoricino che batte come quello di chiunque altro.

Basterebbero un po’ di raziocinio, di buon senso e un minimo di conoscenze in ambito scientifico. Eppure, il mondo sembra andare in tutt’altra direzione.

Infatti, l’idea che l’aborto sia a tutti gli effetti un diritto della donna, da garantire per qualsivoglia ragione, è ormai diffusa da tempo in molti Paesi. Non è nemmeno più importante che sussistano problemi di salute, di ordine economico o di altro genere… Una donna che si trova in attesa di un figlio indesiderato, deve poter scegliere di rifiutarlo.

La liberalizzazione sempre crescente dell’aborto

Indice di questa liberalizzazione dell’aborto, molte manovre che si stanno attuando a livello legislativo in svariati Paesi.

Si pensi al caso della Francia, dove si sta lottando per eliminare l’obiezione di coscienza e per limitare tutte quelle azioni volte a far riflettere la donna sull’atto che andrà a compiere. Lo scopo? Vedere l’aborto classificato come un diritto tra gli altri, un diritto a tutti gli effetti e non come una “soluzione estrema”, perché questo non renderebbe giustizia alla libera scelta della donna.

Sono molti, poi, i Paesi in cui i sostenitori del fronte pro-life si trovano a combattere proposte come quella di garantire alle donne la possibilità di abortire anche in una fase molto avanzata della gravidanza. È questo il caso, ad esempio, della Gran Bretagna, dove si vuole aumentare il numero di settimane della gestazione in cui il bambino non nato possa ancora essere abortito.

Il cosiddetto diritto di abortire è sancito dalla legge

Sono solo alcuni esempi; se ne potrebbero fare molti altri, ma questi sono già abbastanza eloquenti e la dicono lunga sulla cultura che si sta diffondendo in molti Paesi che si definiscono del primo mondo: si tende ad esaltare la libertà di alcuni (le donne e i medici), trascurando i diritti di altri (i nascituri).

Come sappiamo, questo processo sta avvenendo anche e soprattutto negli ambienti in cui si legifera. E ciò che dice la legge, nell’immaginario collettivo, è “sacrosanto”, vale a dire diviene normativo moralmente, specie in un clima di dilagante relativismo, dove si fa fatica a trovare altri indicatori per stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

E quali sono le conseguenze?

I pro-life risultano fanatici o culturalmente arretrati

L’obiettore di coscienza o chiunque sostenga una posizione anti-abortista risulta un fanatico, addirittura anche sovversivo, proprio perchè si oppone ad un presunto diritto sancito dalla legge.

Esprimere contrarietà verso l’aborto significa essere vittime di un retaggio culturale o di un credo religioso, che cozza con l’assetto di uno stato laico e democratico.

Paesi come Svezia e Finlandia, dove l’obiezione di coscienza non esiste , sarebbero quindi da prendere come modelli di civiltà e progresso; mentre Paesi come l’Italia e il Portogallo, in cui la percentuale di obiettori raggiunge vette altissime, sono da considerarsi “arretrati”.

Una libertà autentica non si realizza calpestando i diritti altrui

Ciò che si trascura, però, è che un’autentica libertà non può realizzarsi se si calpestano i diritti di qualcun altro. In una democrazia fondata sul presupposto che tutti i membri della popolazione hanno uguale dignità dovrebbe essere impensabile l’idea di ampliare la libertà di qualcuno a discapito dei diritti di un altro essere umano (in questo caso il nascituro). Il vero problema, però, è che il bambino che si trova in pancia non viene considerato un essere umano, perciò non sarebbe detentore di alcun diritto.

Un’esperienza personale

Se già prima consideravo l’aborto una grave offesa nei confronti di piccole vite indifese, quando ho scoperto di aspettare un bambino ho compreso fino in fondo quanto sia assurdo considerare quell’offesa un diritto…

Ricordo che, alla prima visita (fatta nel periodo di gestazione in cui, in Italia, è ancora concesso abortire) ho sentito il cuore di mio figlio battere.

Mi sono commossa e ho pensato: “ma come si fa ad essere tanto ciechi e sordi da non riconoscere che questo piccolo è un essere umano che vive?”

Lui era dentro di me, sì, ma non era un’appendice del mio corpo: era unaltro essere vivente… che prima non c’era e ora, invece, mi chiedeva di essere amato, protetto.

Senza di me sarebbe morto (come d’altronde morirebbe un neonato se lasciato a se stesso)… ma non vedevo perché il fatto che quell’esserino minuscolo dipendesse da me mi autorizzava a decidere della sua vita.

Amore per la vita e libertà della donna: quando anche i medici vivono una contraddizione

A lasciarmi senza parole, tuttavia, è stato il comportamento della dottoressa che mi visitava.

Davanti al monitor, mi indicava entusiasta i movimenti di mio figlio, mi mostrava le diverse parti del suo corpo. Ricordo che il suo fare burbero, col quale mi aveva accolto, davanti al bimbo, è letteralmente scomparso (durante le ecografie, dinnanzi a quel “pupetto” – come lo chiama lei – si intenerisce sempre e diventa un’altra persona).

Eppure, dopo la visita, quando ci siamo sedute alla scrivania, ha iniziato a parlarmi della possibilità di fare una diagnosi prenatale e mi ha detto che ero “ancora in tempo” per fare accertamenti sulla salute del feto per poi decidere se tenerlo o meno.

Mi è sembrata una situazione surreale: due minuti prima ci trovavamo entrambe, davanti a quel monitor, a sorridere per i movimenti di mio figlio.

Abbiamo sentito insieme il suo cuore che batteva.

E poi me la sono ritrovata a dirmi che spettava a me decidere della vita di quell’esserino.

“Lo tengo in ogni caso, sano o malato”, ho risposto decisa.

Lei, allora, ha ripreso: “Se pensa di tenere il figlio in ogni caso, le sconsiglio questo tipo di visite, molto invasive per la donna”.

Lo dico senza imbarazzo: quelle parole hanno provocato in me un profondo senso di sdegno, perchè ho sentito che mio figlio stava subendo un torto…

La legge e il sistema sanitario si preoccupavano solo di me: di quello che volevo io, dell’invasività delle visite che avrei dovuto fare io e non tenevano conto del diritto del mio bambino di vivere.

Nel mio caso, il problema non sussisteva… Io avrei deciso di tenerlo, ovviamente. Ma mi è sembrato ingiusto il fatto che fosse lasciata a me la decisione.

Quel giorno più che mai ho desiderato di vivere in uno stato in cui i figli abbiano gli stessi diritti dei loro genitori, prima e dopo la nascita… Sì, da quel giorno più che mai sogno uno stato in cui i medici, dopo averti mostrato tuo figlio su quel monitor, ti dicano: “Questa vita è dentro di te, ma è un altro essere umano, guai se lo tocchi!”

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