domenica, Novembre 24 2024

Facebook, da anni ormai, influisce sulle nostre emozioni, sui nostri rapporti e interazioni sociali. A dare l’allarme su questa incredibile influenza, e in particolare sui possibili effetti che può avere sul cervello umano, è proprio uno dei suoi fondatori, Sean Parker.

Durante una conferenza organizzata da Axios al National Constitution Center di Filadelfia, negli USA, Parker, già fondatore di Napster e tra i primi a promuovere lo sviluppo ed il lancio di Facebook, ha dichiarato senza mezzi termini che “Facebook sfrutta la psicologia umana e solo Dio sa cosa combina ai nostri figli”.

A tutti gli effetti ,Il famoso social network sembra un grandissimo esperimento sociale che sta trasformando la società. Le nostre emozioni e la nostra capacità di analisi passa e si forma sempre di più attraverso una società digitale che per lo più si sviluppa, confronta e interagisce proprio dentro i confini di questo social così potente e per certi versi preoccupante. Anche per chi lo ha fondato e gestito nei primi mesi di vita.

I social sono una droga?

E’ stato lo stesso Parker a definire Facebook un “loop di validazione sociale, in grado di sfruttare le falle della psicologia umana”. Detto in altri termini, Facebook – come tutti gli altri social – approfitterebbe della vulnerabilità della psicologia umana per creare una forte dipendenza attraverso il meccanismo dei “Mi piace”, “commenti” e “condivisioni”.

Facciamo qualche esempio per capirci meglio. Vi siete mai chiesti perché guardiamo di continuo il nostro smartphone? Probabilmente perché aspettiamo un messaggio da una persona importante, oppure per monitorare quante persone stanno commentano il nostro status su Facebook. Tipico esempio di condizionamento dei social è il caso delle “spunte blu” di Whatsapp. Chi di noi non ha mai esclamato “Ecco ha visualizzato il mio messaggio ma non mi risponde!”.

Ma la cosa ancora più sorprendente, ed è questo il vero punto, è la nostra reazione emotiva nei confronti di tutto quello che condividiamo online. Se i nostri follower rispondono in modo positivo, siamo contenti perché piacciamo. Diversamente, se riceviamo pochi like o condivisioni, ci sentiamo non sufficientemente apprezzati dalla nostra comunità virtuale, o peggio ancora ignorati. Sean

Sean Parker ci ha preso in pieno: Facebook e tutti gli altri social ci spingono alla ricerca di una continua approvazione sociale di se stessi da parte della nostra rete di contatti virtuali. Vogliamo avere consensi, essere condivisi, perché questo genera in noi piacere ed autogratificazione.

Ma da cosa dipende questa chimica della felicità? Dalla dopamina. L’apprezzamento verso qualcosa che abbiamo condiviso attraverso i social genera dopamina, un potente neuro trasmettitore, che ha la grande capacità di stimolare le nostre emozioni, dare piacere e soddisfazione, andando così a regolare i nostri stati d’animo. Ecco perché non è esagerato affermare che i social creano dipendenza e condizionano giornalmente il nostro umore.

Facebook sta cambiando il nostro modo di apprendere

Ma non solo. Il grande sospetto che inizia ad emergere è la possibilità che Facebook possa influire anche sul nostro modo di apprendere, memorizzare, relazionarsi con gli altri e fare ragionamenti. In poche parole di cambiare il nostro cervello.

Ogni aggiornamento, ogni cambiamento di regole dettate da Facebook influisce sulle interazioni e sul coinvolgimento all’interno del social e, di conseguenza, influisce anche sul nostro cervello, soprattutto dei più giovani. Ad essere coinvolte sono le dinamiche di apprendimento e relazione, la capacità di concentrazione.

L’apprendimento cognitivo è compiuto organizzando le informazioni, facendo confronti, formando nuove associazioni ed è guidato da esperienze passate e presenti. Ma a cadenza regolare questi scenari vengono mutati, cambiano le regole del gioco, e ciò comporta l’impossibilità di poter costruire nel tempo un apprendimento lineare.

Anche la definizione della propria identità non passa più attraverso il solo gruppo dei pari, poichè questo non è più individuabile e “controllabile”.

Insomma se è vero che la tecnologia e il progresso sono inarrestabili, è anche vero che bisognerebbe controllare e osservare con attenzione ciò che sta succedendo online. In questi ambienti così liquidi da scivolarci tra le mani, si stanno sgretolando le regole note e definite finora e non sappiamo quali saranno gli effetti sul futuro dei più giovani.

Facebook e cervello: cosa hanno scoperto le ultime ricerche

Le comunità di Facebook, i gruppi, le interazioni sembrano aver sostituito il gruppo di riferimento reale e tangibile degli amici. Ma gli effetti della rete possono essere ben più gravi di quanto sottolineato dallo stesso Sean Parker.

Secondo i ricercatori della University Medical School di Shanghai: nel cervello degli Internet-dipendenti si trova una anomala quantità di materia bianca, ossia dei fasci di fibra nervosa rivestiti di mielina che garantiscono il collegamento tra l’encefalo e il midollo spinale – nelle aree preposte all’attenzione, al controllo e alle funzioni esecutive.

Questo determinerebbe un cambiamento fisico del cervello. Insomma, chi frequenta i social network con assiduità ha un cervello diverso rispetto a chi non ne fa uso. Già, perchè i social e i suoi effetti somigliano sempre più agli effetti delle sostanze stupefacenti.

Quindi, tutte le interazioni nelle comunità possono essere solo definite bisogno di condivisione o è qualcosa che va oltre? È il bisogno compulsivo di rendere la propria vita sociale, pubblica, scenografica. L’evanescenza di quei messaggi sta cambiando anche la memoria, la capacità di concentrazione e di deduzione logica.

Insomma i social network forse non ci stanno rendendo stupidi, verrebbe da dire, ma non è così. In realtà siamo di fronte ad un cambiamento storico. Le nuove generazioni non riescono più a concentrarsi, a discernere ciò che è vero da ciò che non lo è, come succede per le fake news. Ma perchè?

Perchè il nostro cervello ottiene una quantità di informazioni tale da rallentarlo e ciò rallenta anche la capacità di prendere decisioni nell’immediato. Come dimostrato da un esperimento di Angelika Dimoka, direttore del Center for Neural Decision Making della Temple University. La ricercatrice ha invitato un gruppo di volontari ad una sorta di asta, prendendo in esame, prima di effettuare l’offerta, una serie di variabili così da ottenere la migliore combinazione al prezzo più basso. La ricercatrice ha osservato come, all’aumento delle variabili, aumentasse anche l’errore, e ha dimostrato tramite risonanza magnetica, che il carico informativo fa aumentare l’attività della corteccia prefrontale dorso laterale, responsabile dei processi decisionali e del controllo delle emozioni. Superata una certa soglia di informazioni e parametri da considerare, il cervello subiva una sorta di black out cognitivo che impediva la presentazione di una nuova offerta. Insieme a questa, i soggetti mostravano segni di ansia e stanchezza mentale.

Insomma, l’era digitale non ci sta rendendo stupidi ma sta cambiando drasticamente il nostro sentire ed il nostro comportamento. Siamo quasi parte di un’enorme box Skinner e il flusso continuo di informazioni sta generando stanchezza e ansia.

Queste, unite ad una vita frenetica e piena di stress sta contribuendo a rallentare i processi decisionali. L’unica vera soluzione è rallentare, passare dall’“always on” al “sometimes on”. Altrimenti a risentirne sarà tutta la nostra vita, le relazioni, il rapporto umano. Non si tratta di allarmismo ma bensì di riprendere in mano la propria vita ed essere davvero padroni delle proprie scelte.

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