giovedì, Aprile 18 2024

Sin dalla creazione dell’uomo e della donna, gli esseri umani desiderano
trovare la felicità: quella condizione che acquisisce una persona che è
“pienamente soddisfatta”, con sé stessa e con il mondo circostante,
nonostante i suoi problemi, le sue fragilità, il proprio dolore e quello di
coloro che hanno accanto…

Questa ricerca incessante spesso porta nei posti sbagliati. Quante volte
incontriamo persone che, pur avendo tutto – soldi, lavoro, salute, beni
materiali – si sentono vuote dentro?

Aristotele lo diceva già nel III secolo a.C. “L’uomo felice vive bene e
lavora bene”. Perché la beatitudine si poggia sulla virtù
e si volge al bene.

Victor Frankl, lo psichiatra austriaco che ha vissuto nel campo di
sterminio di Auschwitz, scrisse della felicità nella sua opera “Man in
Search of Meaning”. Scoprì, vivendo lì, che gli uomini che avevano uno scopo nella vita sopravvivevano più a lungo in quella
prigione degli orrori.

Negli ultimi decenni, molti ricercatori hanno tentato di quantificare la
felicità. Uno di questi è Matthew Killingsworth, un americano che ha fatto
il suo dottorato di ricerca ad Harvard su questo argomento nel 2009.

Insieme al suo mentore, ha ideato l’app “Track your happiness” (“Traccia la
tua felicità”) con l’intenzione di monitorare un gran numero di persone, in
diversi momenti della giornata, sullo stato della loro felicità.

Il progetto era ambizioso: mai prima di allora è stato possibile valutare
un campione così elevato, che rispondeva in situ su ciò che stava
provando. Tutto quello che i candidati dovevano fare era scaricare
l’applicazione sullo smartphone (un’applicazione adatta solo per iPhone).
Da quel momento avrebbero automaticamente iniziato a ricevere notifiche a
mo’ di sondaggio in momenti diversi.

Ogni notifica, era infatti una domanda del sondaggio: prima di tutto sulla
situazione in cui si trovava la persona, per poi continuare con le domande
su cosa stava succedendo, su dove era la persona e come si sentiva in quel
preciso momento.

Ogni 50 risposte l’app generava un rapporto sulla felicità
che era molto utile per l’individuo. In esso si fornivano, infatti,
informazioni preziose in modo tale da poter correggere gli elementi che lo
avevano tenuto lontano dallo stato di benessere.

Un’app che migliora la salute mentale

È stato provato attraverso diversi studi che l’uso degli schermi è
correlato a un peggioramento della salute mentale delle persone. Tuttavia,
si possono riconoscere le buone intenzioni del dottorando e affermare che
un buon uso di essi può anche aiutare a migliorarlo.

Killingsworth giunge alle seguenti conclusioni:

1. Paradossalmente, condizioni enormemente migliori della vita umana – case
più grandi, tecnologia più potente, cure mediche migliori – hanno ottenuto
solo modesti miglioramenti nella felicità.

2. Fattori come l’esercizio fisico, la meditazione, il volontariato, una
buona igiene del sonno, una dieta equilibrata, … incidono più
positivamente.

3. I colpi della vita intaccano direttamente la felicità: perdita del
lavoro, morte di un familiare o di un amico, malattia…

4. Essere in contatto con le persone ci predispone alla nostra piena
realizzazione. Poter contare su qualcuno e, soprattutto, sentirsi curati.

5. La mente errante è una mente infelice:

a. Ricordiamo male il nostro passato. Tendiamo a concentrarci sul negativo.

b. Fuggiamo verso il futuro, sognando qualcosa di meglio di quello che
abbiamo.

6. La chiave della felicità è vivere nel momento ed essere nell’oggi: qui
ed ora.

E l’app funziona quando si è depressi?

Track your happiness
può essere utile per le persone che hanno una “felicità variabile”, ma a
patto che l’umore non sia gravemente compromesso, come nel caso in cui si
abbia un problema di salute mentale.

Per un individuo con malattia mentale, come un grave quadro depressivo, non
accade lo stesso. Non dobbiamo dimenticare che questo male è caratterizzato
da apatia (mancanza di motivazione) e anedonia (mancanza di piacere). Le
persone depresse non hanno il coraggio di rispondere ai sondaggi. Inoltre,
si tratta di malati che hanno bisogno di circondarsi di persone, non di
essere isolati col proprio cellulare.

C’è ancora molto stigma intorno a coloro che soffrono di depressione.
Chiaramente non hai compreso questa particolare condizione se pensi che la
malattia migliori attraverso un’app.

Ad ogni modo, si può essere felici indipendentemente dalle circostanze
avverse che si stanno attraversando.

Per questo, sarà necessario che sia i malati che i sani imparino a
identificare il proprio scopo nella vita, come sostiene Frankl, che non può
essere riempirsi di cose materiali e vivere nell’egoismo, ma svuotarsi di
sé nell’abbandono al prossimo e a Dio, mettendo al suo servizio i talenti
ricevuti.

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