giovedì, Dicembre 12 2024

Immaginate per un momento di dover fare una presentazione importante ad una platea che non vi conosce, che non parla la vostra lingua e che non conosce la vostra cultura… da dove iniziare?

Erano gli anni 2000 quando lo scrittore e ricercatore statunitense Marc Prensky ha iniziato a parlare di “nativi digitali” ed “immigrati digitali”. Da allora con questa espressione si intende indentificare due gruppi di persone: i “nativi”, ovvero i giovani che sono nati e cresciuti insieme alle tecnologie e al digitale, e gli “immigrati” quelli che, già adulti quando queste tecnologie si sono diffuse, hanno dovuto imparare ad utilizzarle. Ciò implica, secondo Prensky, non solo che i due gruppi hanno differenti abitudini di fruizione dei contenuti e diversa modalità di utilizzo degli strumenti di fruizione ma comporta un diverso sforzo nell’apprendimento.

Prensky utilizza la metafora linguistica per spiegare questo fenomeno: i nativi sono madrelingua digitale, gli immigrati l’hanno dovuta apprenderla.

Qualcuno è riuscito ad impararla velocemente altri ci stanno ancora provando e poi ci sono gli scettici, che non hanno nessuna intenzione di farlo restando fermamente stabili nei propri modi di fare.

Ma che influenza ha tutto ciò nell’educazione?

Per troppo tempo gli educatori hanno provato ad insegnare e ad interagire con una platea di cui non conoscevano la lingua. Ciò non solo ha creato problemi a livello di comprensione reciproca ma ha escluso alla possibilità di sfruttare le opportunità messe in campo dal digitale in ambito formativo.

Per gli “immigrati” internet non è parte della loro identità, è un “accessorio” e quasi si sentono in soggezione davanti alla maggior parte dei dispositivi. Al contrario dei “nativi” che vivono il digitale come parte integrante delle loro vite. Socializzano, si informano, giocano attraverso internet e, con la massiccia diffusione degli smartphone e della tecnologia wireless, questa realtà si intensifica rendendo la tecnologia pienamente integrata nella loro quotidianità.

Ma quello che accade oggi è che anche il più scettico degli immigrati digitali non potrà esaltare le sue capacità senza il supporto delle nuove tecnologie.

Viviamo in un’epoca in cui il digitale è presente in ogni aspetto della vita umana.

“Nativi e immigrati digitali”: una convivenza possibile?

Dal 2010 il mondo vede convivere sullo stesso pianeta sette generazioni diverse e la differenza tra “nativi”e “immigrati” con il passare del tempo si è fatta (e si farà) sempre meno netta. Che ci piaccia o no il “digitale” e la “tecnologia” sono il presente, ma ciò che oggi e in futuro farà la differenza sarà il mondo con cui questi strumenti saranno utilizzati.

Ma, se è vero che nessuno di noi, in un modo o nell’altro, può sottrarsi all’uso delle nuove tecnologie, e anche vero che per poter sfruttare il loro potenziale al meglio c’è bisogno di una conoscenza approfondita di questi strumenti e del loro modo di funzionare.

Nonostante il digitale riscontra tassi di crescita sempre più elevati negli ultimi 10 anni, facendo salire a bordo anche “immigrati”, l’analfabetismo digitale rimane alto e non si può di certo affermare che i Paesi del mondo abbiano cittadini digitali consapevoli.

Le competenze digitali possono di fatto rappresentare un’occasione per sviluppare l’innovazione e sostenere la creatività. Ma non basta sapere come accedere ad internet o come utilizzare un computer, bisogna piuttosto dotarsi di una “coscienza digitale” che sia in grado di prevenire i rischi e che sappia approfittare e fare tesoro delle opportunità della rete.

Come educare al digitale?

“Ok boomer” sappiate che per supportare al meglio i giovani nel processo educativo e creativo nell’era digitale non bastano più divieti a suon di “posa quel coso”. Per essere un buon educatore in digitale c’è bisogno di informazione e consapevolezza.

Ad oggi, usiamo solo il 20% della tecnologia a disposizione. Ecco perché abbiamo bisogno di guardare con nuovi occhi cosa abbiamo già a disposizione e potenziarlo.

L’obiettivo deve tendere all’educazione dell’utilizzo, no alla repressione.

Come abbiamo visto prima, risulterebbe davvero impossibile provare ad insegnare qualcosa, o banalmente interagire con qualcuno, in una lingua che non conosciamo. Perciò innanzitutto c’è bisogno di approcciarsi alle nuove tecnologie e capirne il funzionamento rimanendo sempre aggiornati.
Senza timore di chiedere “come funziona?” “a cosa serve?” “perché ti diverte tanto?” o più banalmente “Cosa significa ok boomer?”.

Non è più il tempo di essere “scettici” bisogna diventare “digitalmente consapevoli” ed educare a questa consapevolezza i più giovani. Ciò non coincide necessariamente con l’essere un mago della programmazione o un hacker informatico. La consapevolezza di cui qui si fa rifermento è l’approfondimento, non solo delle dinamiche di utilizzo, ma la conoscenza e l’anticipazione dei rischi a cui la rete può esporci.

La storia di “non allontanarsi” “fare attenzione a non farsi male” “non dire parolacce” … e tutte le raccomandazioni che in misura più o meno incisiva proponiamo ai più piccoli nelle diverse fasi di crescita, valgono anche nel mondo digitale!

Il fatto di essere nella propria casa dietro ad uno schermo, o magari sul divano accanto a mamma e papà con un tablet in mano, non ci rende immuni da questi pericoli.

Ma non ci sono solo pericoli. Guardare al digitale solo da un punto di vista pessimistico è come non utilizzare un’auto che ci può condurre lontano e può rendere più comodi i nostri spostamenti, solo perché si rischia di fare un incidente.

L’educatore nell’era digitale non deve limitarsi a “proteggere” dai media, ma piuttosto deve sviluppare nelle nuove generazioni una competenza mediale tale che li prepari ad un mondo con il quale potersi confrontare e nel quale vivere in maniera critica e costruttiva.

Lo spazio digitale è diventato il luogo più abitato del pianeta, la missione è renderlo inclusivo, sicuro e sostenibile. Come?

È esattamente chi lo conosce che ha l’opportunità di rispondere a questa domanda, ed è il dovere di chi vi abita adoperarsi per renderlo tale.

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