giovedì, Dicembre 12 2024

Qualche anno fa, quando il fenomeno della globalizzazione ha fatto irruzione nelle nostre vite, sono sorti molti dibattiti accademici intorno ad esso.

Gli scritti più pertinenti che ho letto contenevano le seguenti idee: dovevamo partire dalla premessa che la globalizzazione era una realtà, che poteva piacerci o meno, ma che non aveva senso discutere se fosse una cosa buona o meno, perché era già un dato di fatto e quindi la cosa intelligente da fare era sapere come sfruttarla al meglio.

Vorrei applicare lo stesso ragionamento al fenomeno della “series addiction”, cioè il consumo massiccio e costante di serie televisive. Nell’ultimo decennio, il numero di serie televisive e il numero di spettatori che le preferiscono ad altri formati sono aumentati. Dal mio punto di vista, è possibile trarre vantaggio da questa nuova dipendenza, ma a tal fine è importante sapere perché siamo “attaccati” alle serie TV e quali sono le conseguenze emotive del loro consumo.

Il mio approccio è positivo, mi dichiaro un consumatore di serie sia per obbligo – indago su quali valori hanno i personaggi – sia per piacere.

Credo che ci siano cinque fattori chiave che spiegano il successo delle serie: la qualità della produzione, la diversità tematica, il tipo di storia, la distribuzione e i personaggi. In primo luogo, le serie hanno copiato gli schemi della produzione cinematografica, e questo significa maggiore qualità e cura nella costruzione e nella realizzazione della storia, ad esempio nella costruzione dei personaggi, dell’ambientazione, della musica e così via. In secondo luogo, le serie offrono un ampio spettro tematico; infatti, la varietà dei canali televisivi ha reso possibile la produzione di serie per nicchie di mercato specifiche. In termini di narrazione, le serie hanno un formato simile alla “letteratura seriale”, che tiene lo spettatore sulle spine e lo spinge a guardare il capitolo successivo. In quarto luogo, lo sviluppo tecnologico permette oggi di godere delle nostre serie preferite su qualsiasi canale – TV in chiaro, pay-TV, Internet TV, noleggio e acquisto di episodi – e in qualsiasi momento.

L’ultimo fattore di successo merita una menzione speciale: i personaggi. Le serie raccontano la storia di un insieme di personaggi – principali e secondari – per un lungo periodo di tempo. Questo lungo arco narrativo offre la possibilità di creare personaggi complessi, ben costruiti e presentati in dettaglio nel corso delle varie stagioni. Questa profondità dei personaggi non ci permette di “conoscerli”, di familiarizzare con loro e, per nostra stessa natura, di stabilire con loro relazioni empatiche.

Ritengo che questa empatia con i personaggi sia un processo che può avere diversi livelli, che possono aumentare o meno. Il primo livello è l’empatia cognitiva, che consiste nel comprendere i protagonisti e le loro circostanze, che colloquialmente si traduce come “mettersi nei loro panni”. Il secondo livello è quello dell’empatia emotiva, che si riferisce al coinvolgimento affettivo nei confronti dei personaggi, vale a dire sentirsi preoccupati per i loro problemi, provare gioia per un colpo di fortuna del protagonista o provare angoscia per il pericolo che minaccia l’eroina della serie. È importante notare che questa empatia emotiva va oltre il fatto che il personaggio abbia un codice morale completamente buono o completamente cattivo.

Un livello superiore è quello che chiamo empatia valutativa, una valutazione e un’approvazione elementare del personaggio: si può tradurre come “questo personaggio mi piace e quindi è buono”; buono non in termini di giudizio morale, ma in termini di evocazione o provocazione di una buona sensazione (non dimentichiamo che siamo ancora a livello emotivo). Infine, c’è l’empatia proiettiva, cioè la capacità di fantasticare, di “diventare il protagonista”, il “come se” si fosse uno dei protagonisti mentre si guarda la serie. Questa fantasia rende lo spettatore capace di anticipare le situazioni a cui i protagonisti saranno esposti o di dedurre quali saranno le conseguenze delle loro azioni.

Man mano che si sviluppano questi livelli di empatia, si può raggiungere l’identificazione con i personaggi. Questa identificazione può avvenire in due modi diversi. Il primo, come percezione di somiglianza, che consiste nel valutare la misura in cui lo spettatore ritiene di assomigliare ai personaggi. Questa somiglianza sarà facilitata se il personaggio e lo spettatore condividono caratteristiche come il sesso, l’età, la classe sociale o la vicinanza culturale. La seconda identificazione è quella aspirazionale. In questo caso, l’attrazione per i personaggi non si spiegherebbe con la percezione di somiglianza, ma perché essi generano ammirazione, attrazione e sono scelti come modelli che riflettono ciò che si vorrebbe essere o raggiungere.

Per tutti questi motivi, è molto importante la scelta della serie da seguire, poiché un gran numero di ore sarà dedicato a guardare e “accompagnare” i personaggi. Questa condivisione del tempo con loro porterà all’instaurazione di relazioni empatiche, che possono sfociare in un processo di identificazione. Potremmo parafrasare il vecchio adagio “dimmi quale serie guardi e ti dirò quale personaggio ti piace”…

* María Teresa Nicolás Gavilán è direttrice degli studi post-laurea in comunicazione presso l’Universidad Panamericana (Messico).

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