giovedì, Dicembre 12 2024

Le differenze nel consumo di programmi tv e videogiochi violenti tra i bambini potrebbero essere influenzate anche dal Dna.

È quanto suggerisce una indagine pubblicata nei mesi scorsi sul Journal of Communication, con il titolo «Media Violence and Children’s ADHD-Related Behaviors: A Genetic Susceptibility Perspective», sulla base dell’associazione tra una variante genica coinvolta nella regolazione della serotonina e l’eccessivo uso dei mezzi violenti.

Condotta da Sanne Nikkelen, Patti Valkenburg e Helen Vossen, attivissime ricercatrici dell’Amsterdam School of Communication Research (ASCoR), in collaborazione con l’Erasmus University Medical Center di Rotterdam, l’analisi si colloca nel solco delle ricerche sul rapporto media-ADHD e mira ad approfondire il ruolo della suscettibilità genetica in questo ambito.

Lo studio – Lo studio ha coinvolto 1.612 bambini olandesi tra i 5 e i 9 anni sotto campione del «Generation R Study», studio di coorte prospettico promosso dall’Erasmus MC al fine di individuare precocemente i fattori genetici e ambientali in grado di influenzare sviluppo e salute di bambini e adolescenti. Esaminando i dati sul Dna prelevato alla nascita dal cordone ombelicale e le informazioni su abitudini e comportamenti fornite da genitori e caregiver, le ricercatrici olandesi hanno potuto testare le loro ipotesi iniziali, a partire dall’assunto secondo cui i fattori genetici svolgono un ruolo nella scelta dei media violenti tra i bambini e nella reazione di questi ai contenuti veicolati, proponendosi come possibile causa delle differenze individuali registrate. Il tutto avendo sullo sfondo un altro studio ASCoR, «The differential susceptibility to media effects Model», secondo cui i baby fruitori di tv e videogiochi tendono a cercare contenuti sintonici rispetto ai loro assetti emozionali, cognitivi, comportamentali e attitudinali, finendo così per esporsi in maggior misura agli effetti mediali.

L’ADHD – L’esplorazione si è svolta sul terreno dei legami tra media e ADHD, acronimo internazionale che sta per Attention Deficit and Hyperactivity Disorder, intricata sindrome comportamentale a esordio precoce la cui diagnosi è oggi tra le più dibattute in ambito neuropsichiatrico per via dei dubbi sollevati in merito alla sua consistenza nosografica. Sull’eziopatogenesi non si hanno evidenze definitive e tuttavia le ipotesi più recenti optano per un’interpretazione multifattoriale del fenomeno. A provocarla sarebbe un mix di fattori psicosociali e neurobiologici, con particolare sottolineatura per l’impronta genetica da cui discenderebbe la suscettibilità individuale. Sulla base delle indicazioni del manuale diagnostico DSM, la classificazione dei disturbi mentali più nota a livello mondiale, e delle evidenze cliniche, il disturbo si caratterizza per pervasivi e persistenti livelli di inattenzione, iperattività e impulsività, e colpisce sfera dell’autocontrollo e capacità di pianificazione. Sintomi presenti in proporzione variabile e tali da compromettere l’andamento globale di chi ne è affetto per via dei riflessi sulla vita quotidiana. Diversi studi hanno associato all’ADHD anche aspetti dell’intrattenimento mediale, ipotizzando che specie la marcata fruizione di contenuti violenti possa influenzare negativamente le condizioni mentali dei più giovani, favorendo l’insorgenza di tratti correlati alla patologia. Ma perché alcuni manifestano più di altri spiccata propensione per tv e videogiochi che veicolano aggressività, prepotenza, brutalità? Su quali basi è possibile predire tra i bambini propensione alla media violence e differente impatto comportamentale?

I geni – Le ricercatrici hanno affrontato la questione a partire dalle più recenti acquisizioni scientifiche in tema di ereditarietà che ipotizzano un coinvolgimento di fattori controllati geneticamente nel consumo dei media, oltre che nelle dinamiche evolutive dell’ADHD. I fattori genetici implicati nei comportamenti associati si pensa siano molteplici e che riguardino soprattutto polimorfismi, mutazioni di un gene che appaiono con frequenza variabile nella popolazione recanti influenze nei meccanismi di trascrizione e traduzione e/o alterazioni nella funzione della proteina da essi codificata, tali da incidere sull’espressività genica. Le scienziate olandesi hanno focalizzato l’attenzione su varianti particolari, con l’obiettivo di individuare correlazioni con l’ambiente.

5-HTTLPR – Sotto la lente delle studiose è finita in particolare una variante del 5-HTT, il gene che codifica per il trasportatore della serotonina, neurotrasmettitore che svolge un ruolo rilevante nella regolazione delle emozioni e degli impulsi. La regione posta sotto osservazione è nota come 5-HTTLPR, accostata in diversi studi all’ADHD. Sebbene il suo ruolo non sia ancora del tutto chiaro, si ipotizza che nella sua forma lunga (allele L) concorra a moderare gli effetti dello stress psicosociale, a partire dall’azione negativa esercitata sui bambini dall’ambiente domestico. Ci si è concentrati, poi, anche su una variazione del DRD4, recettore regolante la trasmissione della dopamina – neurotrasmettitore, insieme a noradrenalina e serotonina, testato particolarmente negli studi sull’ADHD – definita 7-Repeat, configurazione allelica correlata in letteratura a un tratto comportamentale noto come “ricerca di novità” (novelty seeking).

DNA chiave della diversità? – A differenza della variante genetica DRD4-R7 – per la quale non sono state riscontrate correlazioni significative – i test effettuati hanno mostrato un’associazione tra la versione lunga del genotipo 5-HTTLPR e la maggiore esposizione ai contenuti mediali violenti. Ciò suggerisce che, almeno in parte, l’uso di questi media tra i più giovani possa essere condizionato dal Dna e che dunque la variabilità inter-individuale possa essere attribuita verosimilmente anche all’influenza di fattori genetici. Si tratta, come avvertono le stesse studiose, di legami modesti che lasciano aperta la porta a interpretazioni più o meno complesse sulla base dell’azione di altri fattori. A cominciare dall’influenza del contesto che plasma tutti noi nei primi anni di vita, ereditato dai nostri genitori assieme ai loro geni con tutti i possibili e articolati riflessi attivi e passivi che ciò comporta in termini di condizionamento genetico.

Media e ADHD – L’indagine, a sorpresa, non ha confermato invece quanto emerso in precedenti studi circa l’associazione diretta tra allele L del polimorfismo 5-HTTLPR e condotte correlate all’ADHD. Un risultato su cui potrebbero pesare i differenti metodi di campionamento usati, come rilevato dalle studiose. Confermata, al contrario, la correlazione tra uso dei media violenti e tratti associati all’ADHD: i bambini in maggior misura esposti alla media violence hanno esibito anche più sintomi. La limitata potenza di analisi dello studio non ha permesso di fare alcuna inferenza sulla direzione di questa relazione, la cui l’intensità non è risultata variare tra i bambini in funzione della presenza del genotipo 5-HTTLPR. Ma come interpretare il dato complessivo? Stando a quanto osservato nel campione, l’influenza della variante genica sui comportamenti associati al disturbo da deficit di attenzione/iperattività si è realizzata solo in modo indiretto, attraverso l’esposizione ai media violenti. Ciò suggerisce che il consumo di questi contenuti possa fare da trait d’union tra suscettibilità genetica e ADHD, agevolando la slatentizzazione dei tratti correlati al disturbo. Si tratta ovviamente – come avvertono in conclusione le stesse ricercatrici olandesi – di congetture iniziali, da validare attraverso ulteriori analisi in grado di favorire una più chiara comprensione del fenomeno.

Natura vs. cultura – Tra le pieghe dell’indagine emerge in tutta la sua complessità l’eterna diatriba Nature vs. Culture, questione che nel corso della storia ha appassionato discipline molto diverse tra loro, al punto da assumere di frequente toni accesi e posizioni estreme. Conta di più ciò che è scritto nei nostri geni o ciò che apprendiamo durante le nostre esperienze di vita? Quanto dei nostri comportamenti è riconducibile al Dna e quanto all’ambiente? Mettendo insieme le tessere del puzzle, Sanne Nikkelen e colleghe hanno offerto nuovi argomenti a quanti immaginano una Media Effects Research aperta al contributo di discipline in straordinaria crescita come Genetica e Neuroscienze. Al riparo da tentazioni deterministiche di stampo biologico, i risultati descritti dalle scienziate olandesi sollecitano, alla luce dell’acquisita complessità del comportamento umano, maggiore attenzione per i fattori di suscettibilità individuale, nella consapevolezza, tuttavia, che ogni assetto genetico implica una norma di reazione, una gamma ossia di possibili sviluppi fenotipici sulla base della interazione con l’ambiente. Riconducendo tutto questo al nostro oggetto di analisi, rischia davvero di portarci fuori strada pensare che l’invasione di vecchie e nuove tecnologie mediatiche – epifenomeni particolarmente significativi dell’attuale organizzazione socioculturale – siano responsabili in toto dell’esplosione dell’ADHD tra i bambini. E tuttavia – eccessiva medicalizzazione a parte – la complessità della patologia esige anche una approfondita valutazione dell’impatto di mezzi mai come oggi così presenti nella quotidianità dei ragazzi e tali, dunque, da incidere in profondità anche sul loro armonico sviluppo. La questione appare tutt’altro che scontata. Posto che i contenuti virulenti di tv e videogiochi alla luce degli studi condotti sembrano capaci di esacerbare tratti comportamentali individuali, resta da capire che tipo di associazione si realizza in concreto tra media violenti e ADHD: è l’esposizione eccessiva a questa forma d’intrattenimento a favorire la comparsa dei sintomi o, piuttosto, è la suscettibilità genetica al disturbo a rendere in maggior misura inclini all’uso di questi mezzi? Grazie anche al contributo di studi battistrada come quello qui esaminato, le risposte verranno verosimilmente in futuro da analisi prospettiche ad hoc, a dichiarata vocazione multidisciplinare.

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