venerdì, Novembre 22 2024

Nathaniel Tkacz. Wikipedia and the Politics of Openness. University of Chicago Press, 2015, 232 pagine.


Cosa è Wikipedia

Wikipedia è “l’enciclopedia libera e collaborativa”, con più di 40 milioni di voci, di cui più di un milione solo in italiano, pubblicate in ben 293 lingue (dati al 28 giugno del 2016). E’ tra i dieci siti più visitati al mondo, con oltre 62 milioni di utenti unici. In genere gli insegnanti (professori?) non la apprezzano molto e raccomandano ai propri studenti di non citarla nei loro lavori; tuttavia, i docenti spesso la usano per farsi una prima idea su un argomento di loro interesse o di studio. Ma Wikipedia non è usata solo in ambito scolastico. Le aziende ad esempio tendono sempre di più ad avere una propria voce all’interno di questa enciclopedia digitale. Sono in molte già ad averlo fatto. Con dei rischi in alcuni casi: una ventina di “redattori” (editori, nei termini usati da Wikipedia) sono stati infatti scoperti nel 2015, quando la Wikimedia Foundation, proprietaria di Wikipedia, ha capito che questi redattori erano in realtà professionisti di pubbliche relazioni, e non utenti spontanei, che venivano pagati dalle aziende per creare e scrivere delle voci aziendali a carattere pubblicitario. E questo non andava certamente bene, perché, come recita uno dei principi della policy editoriale “Wikipedia non è un insieme di pagine promozionali.”

Wikipedia: specchio della cultura moderna

Ma cosa possiamo dire veramente sulla “filosofia” di Wikipedia?Possiamo definire Wikipedia come la nuova Encyclopédie post-moderna? Nathaniel Tkacz ci offre una possibile risposta nel suo libro Wikipedia and the Politics of Openness (Wikipedia e la politica di apertura).

Se ci hanno insegnato a vedere l’Enciclopedia di Diderot come un’icona, uno specchio dei Lumi, e al contempo uno strumento per diffondere le idee e gli ideali dell’Illuminismo, come andrebbe considerata oggi Wikipedia? Possiamo vederla come un riflesso della cultura post-moderna in cui viviamo? Dopo aver letto il suggestivo libro di Tkacz, la mia risposta è sì, anche se l’autore non pone questa domanda in modo esplicito. Baserò allora la mia argomentazione su una delle affermazioni più significative del lavoro di Tkacz: “Così come i reperti storici, anche le enciclopedie di solito sono un faro di luce sul periodo in cui sono state scritte. Sono uno specchio fedele infatti della conoscenza del loro tempo e di come i vari saperi si relazionano tra di loro. Ci informano sulla recezione della conoscenza e la posta in gioco nella sua acquisizione”. Si può quasi aggiungere che le enciclopedie sono manufatti culturali -e simultaneamente politici- del loro tempo.

Partendo da questa considerazione sulla natura dell’enciclopedia, Nathaniel Tkacz propone una critica acuta di Wikipedia, smantellando alcuni dei suoi principali pilastri e principi: il principio di verificazione (una voce esiste solo se c’è una fonte verificabile da citare); il principio della neutralità (in caso di conflitto tra più voci, tutte le versioni devono essere presentate e si deve scegliere la versione più neutrale); il presupposto che una voce deve poter essere gestita in modo collaborativo tra gli utenti (ad-hocracy, che è l’esatto contrario di meritocrazia o di burocrazia); e, infine, il principio di apertura dell’intero progetto (l’enciclopedia), inteso come la possibilità di replicare l’impresa da chiunque dissenta della direzione di rotta in corso d’opera e quindi avvalendosi del lavoro fin lì fatto, proprio perché l’impresa è collaborativa e quindi “di tutti”.

Wkipedia: critica alla sua apertura e democrazia

In questa sua opera, l’autore sconfessa Wikipedia come esempio di “ideologia di apertura”, di democrazia virtuale applicata al sapere, che ne ha fatto uno dei mostri sacri e intoccabili della cultura sulla Rete. A sostegno della sua critica, mette in rilievo tre casi in particolare: 1) la cancellazione della voce Wikipedia art (è stato il tentativo da parte di alcuni artisti che hanno scritto questa voce su Wikipedia per dimostrare che il principio di verificabilità (verificazione) è sempre autoreferenziale), 2) la presunta “soluzione” sulla controversia relativa alle immagini di Maometto per quanto riguarda la sua voce (come è noto, i musulmani considerano una blasfemia riprodurre le immagini del Profeta), e infine 3) il tentativo fallito dal progetto spagnolo di Wikipedia (Spanish Fork), che ha sollevato la questione se accettare o meno la pubblicità all’interno dell’enciclopedia.

Attraverso un attento esame di questi tre casi, un lettore non esperto della complessità di Wikipedia può scoprire come è organizzata e strutturata.

Ad esempio, come sono suddivise tra di loro le diverse pagine (di lettura, di discussione e di archivio storico). Oppure conoscere i diversi tipi di utenti che interagiscono e il loro livello di autorità nel processo di modifica di una voce: utenti, utenti registrati, bloccati, mover, autoverificato, rollbacker, burocrate, amministrator, steward e così via… Si impara quali sono le regole editoriali e i principi come quello di neutralità e verificabilità, o in alcuni casi la mancanza di essi “perché Wikipedia non ha regole fisse” (è uno dei cinque pilastri). Infine, Nathaniel Tkacz ci descrive il pensiero filosofico dei fondatori di Wikipedia, Jimmy Wales e Larry Sanders. Larry Sanders ha fatto la sua tesi di dottorato su “Circolarità epistemologica: un saggio sul problema della meta-giustificazione”, e la voce su Wikipedia di Jimmy Wales, nella sezione “Il pensiero e le influenze”, rende chiaro che si tratta di un “oggettivista” discepolo convinto di Ayn Rand.

In breve, l’idea di base che Wikipedia sostiene e propone si può riassumere in queste parole di Tazck: “Mentre l’idea di una verità esterna è espressamente e rigorosamente rifiutata, la soglia per includere qualcosa in Wikipedia è solo la sua verificabilità tramite fonti, non la sua verità oggettiva e intrinseca [Wikipedia: Verifiability]. Wikipedia alla fine non è altro che un “sistema solido di asserti, la cui funzione principale è quella di stabilire la verità di una dichiarazione; una verità che deve essere neutrale, non originale, pubblica, affidabile e sempre verificabile. È quindi un insieme di regole scritte, che delimitano le procedure corrette da seguire, che stanno alla base dell’intero progetto” (p. 110). In altre parole, la verità è una costruzione sociale, di indole discorsiva ed in continua evoluzione, ma non è qualcosa che si trova o che si scopre. Se lo scopo declamato dalle imprese intellettuali nella cultura post-moderna è “decostruire” il discorso, certamente Nathaniel Tkacz ci è riuscito superbamente con questo “discorso enciclopedico”, che alla fine dei conti, è Wikipedia.

Wikipedia and the Politics of Opennessè quasi una lettura obbligatoria per gli accademici e gli specialisti della comunicazione, nonostante alcune carenze del libro. I tre casi studiati, anche se significativi, non sono sufficienti a demolire epistologicamente Wikipedia. Alcuni dei dati utilizzati dall’autrice sono obsoleti, poiché la ricerca è stata effettuata nel 2010 e nel 2011, e Wikipedia “cambia” velocemente. Infine, il linguaggio di Tkacz è sovraccarico di terminologia tecnica e filosofica. In ogni caso, le critiche più importanti sono valide: il deficit epistemologico di Wikipedia e il fatto che alcuni contenziosi su alcune voci sono destinati a durare più a lungo dei loro stessi amministratori. Ad esempio, la controversia sulla pubblicazione delle immagini di Maometto è stata “dichiarata” chiusa da Wikipedia, mentre in realtà l’Islam ritiene invece ancora aperta e controversa questa voce. Non c’è da stupirsi, anche la voce sulla storicità di Gesù Cristo rimane aperta sull’enciclopedia digitale.

La versione completa di questa recensione può essere letta sulla rivista Chiesa, comunicazione e cultura.

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