giovedì, Marzo 28 2024

C’era una volta un uomo e una donna che si sposarono e vissero felici e
contenti per tutta la vita…. Così termina ogni fiaba che si rispetti, ma è
davvero così nella vita reale? Le statistiche ci dicono che nel mondo
occidentale i matrimoni, specialmente in Chiesa, sono sempre di meno e
aumenta il numero delle separazioni. E’ sempre più difficile per una coppia
vivere insieme in amore e in equilibrio. Sembra che il male maggiore non
sia più l’infedeltà, quanto la cosiddetta sindrome del coinquilino.

E allora la favola cambia…c’era una volta un marito e una moglie che, dopo
pochi anni dal matrimonio e con due bimbi ancora piccoli, furono costretti
a riconoscere che il proprio matrimonio era in frantumi; frammenti così
piccoli che ormai era difficile ricostruire. Erano diventati perfetti
sconosciuti, conducevano una vita a due senza più condivisione di nulla, se
non lo spazio vitale della casa, la comproprietà dei figli e l’eventuale
conto in banca cointestato. Facevano due vite parallele, svolgevano
attività individuali senza coinvolgere il coniuge, non parlavano più di
temi profondi e soprattutto non si interessavano più l’uno dell’altro;
mangiavano in silenzio, non si raccontavano le giornate e non si chiedevano
mai reciprocamente come si sentissero realmente. I pochi dialoghi, se non
per cose organizzative, erano discussioni, anche su piccole cose, che
acuivano le diversità del carattere; non sapevano neanche più guardarsi
negli occhi e, se si parlavano, usciva solo una valanga di accuse
reciproche, inconsapevoli che a forza di dirsi ciò che non andava finirono
col pensare che non sarebbero potuti più uscire dalla conflittualità, ma al
massimo fare una tregua fino al successivo scontro.

Quante storie come questa! Storie di matrimoni feriti, stremati, in fin di
vita, che indicano l’incapacità degli sposi di fare il salto dall’amore
alla comunione che dura tutta la vita. Ma perché si arriva a distruggere
quella che era stata la propria scelta di vita? E come provare a prevenire
o curare la relazione così ferita?


Prevenire è meglio che curare. Il valore della quotidianità

Se si finisce nello stile di vita da coinquilini, fondamentale è il
riconoscimento dei primi sintomi e agire in modo tempestivo e risoluto,
senza perdere la speranza di poter dare nuova vita alla coppia e lottando
contro ogni tentazione di scoraggiamento e di resa. Soprattutto non
lasciarsi coinvolgere dalla mentalità dominante di prendere la strada della
separazione, ma lottare fino alla fine, perché “più grande è la lotta e più
glorioso sarà il trionfo”.

Tra le maggiori cause che portano gli sposi a questa condizione, in primis c’è la mancata cura quotidiana della coppia, che
è come una pianta da innaffiare quotidianamente, concimare regolarmente,
potare e sostenere se necessario. Invece ci si sposa pensando che il
matrimonio rende automaticamente felici, senza bisogno di impegno e fatica,
senza mettere il “noi” davanti a tutto. Infatti col matrimonio nasce una
nuova realtà: non ci sono più due entità (due individui) ma una sola nuova
identità (la coppia sposata), sia dal punto di vista emotivo, che
spirituale, intellettuale e non ultimo finanziario (ciò che si ha è per
tutta la famiglia). La coppia diventa una sola cosa, mantenendo ognuno la
propria individualità: l’unità nella differenza.

Un’altra piaga è la mancanza di tempo trascorso insieme.
La vita frenetica, piena di impegni porta a trascurare il coniuge. Si pensa
al lavoro, ai figli, allo sport, a coltivare i propri amici e si dà per
scontato la persona che ci sta affianco a noi dentro casa. La frequentiamo
sempre di meno e quindi la conosciamo sempre di meno. Bisognerebbe
trascorrere insieme, da soli, almeno 30 minuti al giorno, parlando di sé,
della relazione, condividendo situazioni ed esperienze che ravvivano e
mantengano la percezione del piacere dello stare assieme.

Fondamentale è anche curare il dialogo
; non esiste la telepatia tra gli sposi, è necessario parlarsi, far sentire
il coniuge preso in considerazione e amato, anche con semplici frasi, senza
dimenticare le espressioni d’amore, perché il “tanto già lo sa” è terreno
fertile per l’insinuarsi dell’indifferenza.

Il vero impegno sta nelle piccole cose di ogni giorno. A forza di
trascurare i momenti quotidiani, di dare per scontato o sottinteso quello
che l’uno e l’altra sentono, si arriva all’assenza di dialogo,
all’incomunicabilità, ai malintesi e un sassolino nella relazione diventa
presto una montagna invalicabile.

Il ruolo importante della comunità

Fin qui abbiamo visto cosa sarebbe bene che gli sposi facessero ed
evitassero, tuttavia è bene non dimenticare che una coppia è sempre
inserita in una comunità, che non può lavarsene le mani relegando il
problema delle crisi matrimoniali all’interno della coppia, ma deve essere
consapevole delle proprie responsabilità. Per ciò è importante che qualcuno
insegni agli sposi la “grammatica” dell’amore umano; è necessario
accompagnare gli sposi non tanto prima del matrimonio, ma dal giorno
seguente e negli anni a venire, sostenendoli quando i sentimenti e le
emozioni iniziali vacillano, insegnando che questi non sono sufficienti per
costruire la casa sulla roccia.

E invece, lo dico per esperienza personale, vengono lasciati soli, anche se
molto spesso sono loro stessi che pensano di non aver bisogno di aiuto,
convinti di potercela fare da soli, non chiedendo consigli sin dal momento
in cui si presentano le prime difficoltà; forse per pudore, forse per
timore di non essere compresi, sicuramente perché la società individualista
e frenetica in cui viviamo non facilita il dialogo nel momento del bisogno.
E l’individualità si insinua anche nella coniugalità, che invece per
definizione implica l’essere in due.

Occorre che gli sposi imparino ad affrontare insieme le difficoltà
della vita;

d’altra parte coniugi vuol dire essere attaccati allo stesso giogo:
camminare insieme uniti da un giogo che non è un vincolo reprimente, ma un
vincolo che dà senso alla loro vita.

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