giovedì, Novembre 21 2024

Abbiamo ricevuto una lunga lettera da un nostro lettore, che risponde ad un sentire diffuso e inespresso. La domanda che il nostro lettore si pone alla fine della sua lettera è la seguente: anche i governi italiani sono sudditi della colonizzazione ideologica del gender? Buona lettura. «Il gender è colonizzazione ideologica. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana». Questo è l’appello lanciato dal Papa, di ritorno in aereo dalla sua visita pastorale nelle Filippine. Senza dubbio un’espressione forte, diretta e senza mezzi termini, che ha lasciato stupiti molti, suscitando polemiche e in alcuni casi un certo disappunto. Un «no» convinto contro qualsiasi tentativo di manipolazione e distruzione della famiglia da parte dell’ideologia gender. Perché di questo si tratta, questo è il vero punto della questione, quando il Papa usa l’espressione «colonizzazione ideologica».

E l’esempio raccontato da Francesco del tentativo di corruzione subìto da un Ministro della Pubblica Istruzione affinché introducesse libri di testo pro gender in cambio di finanziamenti per la costruzione di scuole pubbliche diviene quanto mai calzante e significativo. E viene citato, non a caso, un esempio sulla scuola perché questo è il principale terreno di scontro e di intromissione dell’ideologia gender che, dietro la maschera della libertà e dei pari diritti, cerca di entrare nei luoghi dove ci sono i bambini, per sfigurare al cuore e alle fondamenta l’istituzione della famiglia, con l’obiettivo di ridefinire il concetto stesso di matrimonio.

Si potrebbe parlare quasi di una colonizzazione antropologica, finalizzata ad una totale messa in discussione dello stesso concetto di natura umana. Sta accadendo in quasi tutti i Paesi, e guai a chi prova ad obiettare. L’ideologia del gender non ammette contraddittorio, impone un pensiero unico – ecco il motivo per cui il Papa l’ha paragonata alle dittature del secolo scorso – e chi si oppone viene subito tacciato di voler fare discriminazioni, senza possibilità di appello. Ma queste non sono solo sensazioni, percezioni, allarmismi. Basta sfogliare le oltre 40 pagine del documento Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere per il 2013-2015 dal sito del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri italiano, vale a dire il Governo italiano. Non un testo preso da un blog, da un forum o da una associazione, diciamo per così dire di parte, ma un documento ufficiale vero e proprio di fonte governativa, anzi di più, una strategia esplicita con una precisa volontà operativa, con i suoi obiettivi, il suo target, la sua metodologia e il suo piano di azione. Un testo ampio che, dopo aver esposto sommariamente il contesto delle persone LGBT in Italia, in Europa e nel resto del mondo, passa subito ad elencare i quattro asset su cui basare la propria strategia di azione per un cambiamento. E non a caso, il primo tra questi è proprio la scuola. Entrare nel sistema educativo, facendo leva sulle menti dei bambini, incapaci ancora di una autonoma e consapevole analisi critica, è il passo obbligato per chi ha intenzioni manipolatorie. Citiamo solo alcuni degli strumenti di azioni individuati: accreditamento delle associazioni LGBT presso il MIUR (il ministero della pubblica istruzione italiana n.d.r) in qualità di enti di formazione, arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografiche sulle tematiche LGBT e sulle nuove realtà familiari. Tra gli obiettivi, sottolineiamo quello di favorire l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni. Quello che stupisce francamente, inoltre, è il tono asettico, da piano di marketing, ma lucido nella sua determinazione al cambiamento e all’imposizione di un’unica volontà, tenendo conto che si sta parlando di bambini con l’esplicita intenzione di allevarli come polli da batteria. Ma il punto è proprio questo. La scuola è il teatro di battaglia per eccellenza, il valico ideale per oltrepassare i confini e far passare questa ideologia. Non a caso. Convincere gli adulti è infatti infinitamente più difficile, dal momento in cui si tratta di persone già formate, con le loro idee, valori ed esperienze. Ma se si comincia dalla scuola materna a spiegare che non esistono sessi ma solo generi che uno può scegliere a suo piacimento e poi magari anche cambiare, sicuramente le possibilità di successo nella manipolazione saranno maggiori. Una barriera efficace a questa «colonizzazione ideologica» – per tornare ad usare l’espressione di Papa Francesco – è costituita al momento dalle famiglie stesse. Sono molti, infatti, i casi in cui i genitori si accorgono che a scuola i loro figli vengono attaccati e minacciati da questa ideologia. La volontà quindi che le scuole siano ridotte a campi di rieducazione è reale in questodocumento, anzi centrale per il successo stesso della loro strategia.

Gli altri tre asset su cui indirizzare il cambiamento, sono il lavoro, luogo naturale di incontro, relazione e socializzazione, le carceri, luogo presunto di violenza ed abusi per le persone LGBT, e i media. Ecco, questo ultimo punto merita un attimo di riflessione. Per qualsiasi dittatura – e anche questa volta ci tocca tornare alle frasi iniziali di Papa Francesco nel suo comparare l’ideologia gender ai regimi fascisti – è fondamentale avere il controllo, oltre che dell’istruzione e della formazione dei giovani, anche di quello dei media. È superfluo quasi spiegarne il motivo. Se controlli i media, ne controlli anche i messaggi. E in questa analisi è interessante notare come questa «strategia nazionale» cerchi con evidenza, senza poi nascondersi troppo, il favore e l’appoggio dei media, sempre ammesso che in molti casi già non ce
l’abbia . Appoggio, per non dire controllo, che trova la sua legittimazione nella definizione di un vero e proprio sistema di governance, come suggerisce il testo stesso nella sua parte finale. Un modello articolato che citando alla lettera il documento «preveda l’azione sinergica delle istituzioni, della società civile, delle parti sociali e di altre associazioni coinvolte». E nell’elenco analitico di questo sistema integrato troviamo la volontà di coinvolgimento delle organizzazioni datoriali e sindacali, della pubblica amministrazione, della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e dell’Ordine dei giornalisti.
Tutte le maggiori istituzioni con i loro opinion leaders quindi.

La domanda che a questo punto è lecito porsi, è quanto questo documento superi il punto di equilibrio tra una giusta e legittima prevenzione e informazione sul tema della discriminazione sessuale, che è da condannare sempre e comunque, e quanto invece vada oltre, passando all’imposizione di altre verità assolute, attraverso un approccio che miri a omologare – a livello globale – l’uomo e la donna, rispondendo ai dettami di una politica mondiale (vedi articolo nuova lingua del potere parla nel segno del gender )

Quello che noi rileviamo qui è lo schema tipico di azione e di imposizione di una lobby. Partendo da effettivi bisogni e reali problematiche, come il caso della violenza, dell’abuso o della discriminazione dovuta all’orientamento sessuale, si va oltre, non cercando una soluzione nel rispetto di identità culturali, sociali, naturali e antropologiche, ma la strumentalizzazione a tutti i costi del problema da parte di un gruppo di potere e di interesse che stravolge la realtà secondo la propria visione e per il perseguimento dei propri fini. Certo, come ogni ideologia, per potersi affermare anche quella del gender ha bisogno di essere totalitaria e di non essere mai messa in discussione, perché l’ideologia è costantemente smentita dalla realtà.
Pertanto, vediamo più da vicino questa realtà denunciata dal documento pro gender e quali dati riporta a sostegno della sua tesi….

Priorità ideologiche o priorità sociali?

Tra i dati presentati sul fenomeno discriminatorio in relazione al genere, il documento spiega che i casi di discriminazione riportati dal Contact Center sono cresciuti da 43 nel 2010 a 144 nel 2012. Quanti soldi ed energie conviene investire per evitare queste situazioni? Si tratta di dati senz’altro raccapriccianti, ma a nostro avviso sono molto più preoccupanti i 400.000 minori che nel 2011 in Italia sono stati vittime della cosiddetta «violenza assistita intrafamiliare» (ISTAT e Save the Children), ovvero, che hanno assistito a scene di maltrattamenti fisici, psicologici o economici subiti dalla madre per mano
del marito o del compagno. Da quell’anno, ai successivi governi italiani, che curiosamente si succedono senza che cambi la strategia per la lotta contro la discriminazione di genere, questo stato di cose sembra averli preoccupati sempre meno. Come del resto non preoccupa che in tutta Italia ci siano 342.000 studenti esposti al rischio di intossicazione da amianto, a causa di gravi problemi strutturali in ben 3.600 edifici scolastici (CENSIS 2014). Stesso discorso vale per i 20.214 minori che nel 2013 sono stati seguiti dai servizi socio-sanitari a seguito di episodi di delinquenza (ISTAT 2014). Così come non allarma un altro dato che per certi aspetti risulta piuttosto analogo: nel 2014 il 30% delle famiglie italiane considerava il pericolo della criminalità come un problema presente nella zona in cui vivevano (ISTAT 2014).

Le cifre del Contact Center per la lotta contro la discriminazione di genere distano molto anche rispetto a quelli dei giovani a rischio di tossicodipendenza: nel 2013, su un campione di 34.385 tra i 15 e i 19 anni, il 21,43% aveva fatto uso, una o più volte, di cannabis (un 2% in più rispetto all’anno precedente), di cocaina il 2,01% (1,86% nel 2012), di eroina lo 0,33% (0,32% nel 2012), metanfetamine e/o ecstasy l’1,33% (1,12 nel 2012) e allucinogeni il 2,08% (1,72% nel 2012). Inoltre, nel 2010, l’ISTAT ha segnalato che il 51,8% delle donne tra i 14 e i 65 anni (oltre 10 milioni) sono state vittima di almeno un episodio di violenza nella loro vita.

Senza dubbio è importante evitare qualsivoglia forma di discriminazione, ma è forse ancora più importante che nell’agenda politica si dia priorità a questioni che hanno un’incidenza sociale statisticamente maggiore: ciascuno dei 144 casi menzionati merita senz’altro una risposta, ma sarebbe forse necessario iniziare ad investire più fondi ed energie su problemi che riguardano quelle centinaia di migliaia di persone che vivono in situazioni di rischio estreme.

Ridurre il coro a una sola voce

All’interno del documento di cui stiamo parlando vengono contemplate solamente due posizioni: da un lato quella che asseconda la teoria di genere e identifica l’attrazione verso le persone dello stesso sesso con uno specifico comportamento sessuale (considerata valida nonostante le non poche discrepanze rispetto ad alcuni studi scientifici), e dall’altra quella cosiddetta «omofoba». Tuttavia, negli ultimi anni, sono affiorate tutte le sfumature presenti in quest’ambito, e stanno comparendo sempre più gruppi che la vedono in modo diverso rispetto a quelle che si autoproclamano «associazioni di categoria», come se avessero il mandato esclusivo ed escludente di rappresentare tutti coloro che hanno un orientamento omosessuale. In questo senso, Paul McHugh (antico direttore del Dipartimento di Psichiatria del celebre Ospedale John Hopkins) e altri medici hanno messo fortemente in discussione le operazioni di cambiamento di genere basandosi su ricerche scientifiche realizzate presso alcuni noti ospedali
svedesi e statunitensi. Inoltre, alcuni gruppi non sono favorevoli alle adozioni da parte di genitori dello stesso sesso, come Xavier Bongibault, ateo e omosessuale, fondatore, in Francia, del « Plus gay sans mariage». Una cosa simile è avvenuta in Italia quando i famosi stilisti Dolce&Gabana, per quanto dichiaratamente omosessuali, si sono espressi contrari all’adozione di bambini da parte di coppie gay, e hanno lamentato una certa sorpresa di fronte all’intolleranza diffusa rispetto alla loto legittima opinione.

Altre istituzioni come Courage (presente in Europa e negli Stati Uniti) propongono quella della castità come la via maestra da seguire per la propria realizzazione personale, e stanno riscuotendo un certo consenso ed appoggio in diversi contesti geografici. Sempre su questa linea si muove anche Philippe Ariño, un attivista francese noto in Italia per aver pubblicato il libro Omosessualità controcorrente, tradotto anche in lingua spagnola. Infine, nel contesto dei mezzi di comunicazione italiani, e seguendo i suggerimenti propositi in questo documento, il Ministero delle Pari Opportunità ha pubblicato un rapporto per fornire indicazioni specifiche ai mezzi di comunicazione: «Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT» , approvata nel dicembre del 2013 e rivolta ai professionisti della comunicazione. Nel documento si specifica la terminologia adeguata che dovrebbero impiegare i giornalisti nell’affrontare notizie relazionate con tali tematiche: un fatto che susciterebbe non poca sorpresa in qualsiasi altro ambito giornalistico.

Imposizione: per il popolo ma senza il popolo

È possibile continuare a vivere in una società plurale mantenendo pubblicamente le proprie posizioni anche quando si affrontano a questioni di genere? In realtà, su questo tema specifico, risulta sempre più
complicato. Nell’aprile del 2014, Brendan Eich, Amministratore Delegato di Mozilla, l’impresa del celebre browser Firefox, si è dimesso a seguito delle numerose pressioni subite dopo che sei anni prima, nel 2008, aveva donato 1.000 dollari alla campagna che in California ha promosso la Proposizione 8, che è stata accettata dopo un referendum, per poi essere messa in discussione qualche anno più tardi da una Corte: «in California l’unica forma di matrimonio valida e riconosciuta è quella tra un uomo e una donna». Anche la Barilla nel 2014 ha dovuto cedere al boicottaggio di alcune lobbies e cambiare la propria pubblicità per includere anche immagini di coppie dello stesso sesso. Poco dopo, nel 2015 una Corte distrettuale negli Stati Uniti ha ridefinito il matrimonio per includere le persone omosessuali, cancellando di fatto un’ammenda statale della Florida, approvata quasi dal 62% dell’elettorato nella precedente votazione del 2008. La stessa cosa è avvenuta in altri Stati e in altri Paesi.

Nel 2014 il parlamento croato ha approvato una legge sulle unioni civili per le coppie dello stesso sesso nonostante il fatto che alcune associazioni, raccogliendo oltre 700.000 firme, fossero riuscite a promuovere un referendum a favore della famiglia in cui il 66% dei votanti sosteneva «l’introduzione di una disposizione all’interno della Costituzione della Repubblica Croata che definisse il matrimonio come un’unione a vita tra un uomo e una donna».

Anche nel Regno Unito il Primo Ministro James Cameron, pur non avendo incluso nel suo programma elettorale l’idea di rendere paritario sul piano legale il matrimonio e le unioni tra persone dello stesso sesso, nel dicembre del 2012 ha disatteso le 500.000 firme presentate per convocare una consultazione pubblica, approvando, l’anno successivo, tale equiparazione senza prevedere alcun tipo di dibattimento pubblico. Questi episodi non avvengono solamente nella sfera politica, ma anche nella vita di tutti i giorni: una pasticceria che non raccoglie la richiesta di preparare una torta nuziale per due coniugi dello stesso sesso, un fioraio che preferisce non fornire adorni matrimoniali di un certo tipo, un fotografo che decide di declinare un incarico, coppie omosessuali che desiderano intraprendere un percorso psicoterapeutico negato loro dall’analista, predicatori trascinati in tribunale accusati di citare passi della bibbia… Più passa il tempo e più numerose sono le persone stigmatizzate per non accettare l’opinione di un gruppo minoritario, un fatto che avviene anche nelle scuole, come dimostrato dal documento.

Nel settore dell’educazione, dietro la lotta all’omofobia, si celano personaggi che cercano di rieducare le giovani generazioni imponendo loro la teoria di genere. In Italia, il Liceo Muratori di Modena è stato teatro di un’arringa ideologica pronunciata da Vladimir Luxuria (senza che altri relatori proposti dai genitori avessero la possibilità di contraddittorio), e in alcune scuole del territorio diverse associazioni (come l’Arcigay) stanno distribuendo liberamente del materiale d’iniziazione all’omosessualità (come ad esempio presso l’Istituto Tecnico Cattaneo di Castelnovo Monti).

L’educazione si sta trasformando così in una tendenza ad approvare leggi ed iniziative per il popolo ma senza il popolo, promosse da una minoranza che regola e che pretende cambiare la concezione di matrimonio: ne sono una riprova certe iniziative promosse in Colombia, Uruguay, Paraguay e presso minoranze di alcuni Paesi dell’Africa. Un esempio su tutti. Nel febbraio del 2015 il giornalista e attivista gay Bruno Bimbi ha dichiarato che i coniugi protagonisti della prima unione di coppie omosessuali riconosciuta in Argentina nel 2009 (Alex Freyre e José María di Bello) in realtà non stavano assieme, e che l’intera cerimonia è stata una farsa orchestrata ad hoc per forzare l’approvazione della legge sulle unioni omosessuali. Hanno adottato tre figli e la loro unione fittizia, celebratasi nel 2009 sotto i riflettori accesi dai mezzi d’informazione, è finita cinque anni dopo: ma come è possibile fingere di avere una vita di coppia e adottare tre figli per cinque anni?

Su questo e su altri ambiti è ormai arrivato il momento di chiedersi qual è il senso della libertà d’espressione e di pensiero, e quanto si stiano prendendo realmente in considerazione le opinioni maggioritarie.

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