domenica, Novembre 24 2024

Una volta, quando mio figlio aveva circa nove mesi, venne a trovarmi un’amica, che fa la maestra.

Non ha ancora figli, ma adora i bambini e mi è capitato più di una volta di chiederle consiglio, visto che ha studiato, con grande passione, pedagogia e discipline legate all’educazione.

Quel giorno, le stavo esternando una delle difficoltà più sentite da me, amante del dialogo e della chiarezza: ovvero, la mancanza di comunicazione che spesso avvertivo esserci con mio figlio , perché ancora troppo piccolo per parlare e per capire ciò che gli dicevo.

“Il problema è che non può ancora comunicare…”, le dissi.

“Non è vero che non comunica – mi fece lei – i bambini così piccoli non parlano, ma comunicano eccome…”

Quella replica mi mise in imbarazzo: proprio io, laureata in Comunicazione, avevo ridotto la capacità comunicativa di una persona alle parole, avevo associato la buona riuscita di un dialogo alla sola comunicazione verbale.

“Hai ragione, – mi corressi – il problema è che non parla e per questo spesso non ci capiamo. Però è assolutamente vero che comunica…”

Dopo quell’episodio, mi ritrovai in modo particolare a riflettere sul modo di esprimersi dei neonati e dirò di più: posso dire di aver appreso delle vere e proprie “regole” sulla comunicazione non verbale, degli insegnamenti che loro, i bimbi, a maggior ragione perché non parlano, possono offrire a noi grandi, che spesso ci concentriamo troppo su cosa dire, trascurando aspetti che sono tuttavia importantissimi perché si realizzi una comunicazione fruttuosa ed efficace, in famiglia e non solo.

Ecco, allora, cinque regole sulla comunicazione non verbale che, penso, noi grandi dovremmo imparare dai neonati.



1. Il fatto che ci sei, conta più di ciò che dici e di ciò che fai

I bambini molto piccoli non hanno ancora raggiunto un grado di razionalità tale da poter comprendere parole e concetti, né possono capire il perché di tanti nostri gesti o spostamenti.

Ci ascoltano, certo, e ci osservano, perché ne hanno bisogno per fare i loro piccoli, grandi progressi quotidiani, ma sono molte le cose che “sfuggono” nei primi anni di vita.

C’è qualcosa, però, che i bambini sono in grado di capire sin dal primo giorno di vita, ovvero se chi hanno accanto si prende cura di loro oppure no, se sono considerati importanti o vengono trascurati.

Sono in grado di comprendere se il loro pianto interessa o lascia indifferenti. Insomma, sono capaci di avvertire la nostra presenza e la nostra assenza.

Quante volte, anche nei rapporti con altri adulti, ci preoccupiamo di dare consigli (che spesso sono più delle sentenze), ci preoccupiamo di “fare qualcosa”, senza però essere in grado di stare realmente accanto alle persone che hanno bisogno di noi, senza cioè mostrare empatia?


Il neonato ti dice allora molto chiaramente che la cosa che conta più di qualsiasi altra
, se vuoi aiutare qualcuno o semplicemente dimostrargli affetto, è la tua presenza, la tua vicinanza. Ciò che dirai o farai è importante, sì, me secondario rispetto al dono del tuo tempo.

2. Non amare solo a parole, dimostralo

Puoi dire a un bimbo di sei mesi: “Ti voglio bene” anche ottanta volte in una sola giornata, lui non lo capirà.

Comprenderà molto bene, però, che gli vuoi bene se lo aiuti ad addormentarsi, se ti alzi la notte quando si sveglia assetato o con dei dolori, se lo culli quando è nervoso, se lo nutri perché non sa farlo da solo.

Sembra scontato, eppure non lo è: l ’amore si dimostra prima di tutto con i fatti.

Ciò che ho appena detto, non vale forse anche nei rapporti tra grandi, tra coniugi, fratelli e sorelle, amici o colleghi? Non parlano molto di più le nostre premure e le attenzioni, della nostra bocca?

Il neonato ce lo dice molto chiaramente: non basta dire “ti amo” o “ti voglio bene”, perché l’altro si senta davvero accolto, amato. I sacrifici che siamo disposti a fare, la pazienza che ci impegniamo ad impiegare nella relazione, la capacità di passare sopra alla nostra stanchezza per occuparci dell’altro, sono molto, molto più eloquenti delle parole.



3. Non rispondere con la stessa moneta: se l’altro urla, tu smorza i toni

I bambini molto piccoli se devono mostrare disappunto, piangono e urlano. Possono gridare senza controllo, soltanto per far capire quanto sono tristi, delusi, frustrati, per chiedere in quel modo implicitamente aiuto.

Il genitore, allora, specialmente davanti a un capriccio, può avere la tentazione di urlare a sua volta, magari anche più forte. Ed ecco che si finisce in un vortice di nervosismo: inizia una diatriba a suon di grida, diatriba che non può essere disinnescata dal bimbo e che, anzi, acuirà ancora di più il suo stato di malessere.

Sarà molto più proficuo l’atteggiamento del genitore che, senza concedere ciò che non può concedere al figlio, riuscirà a non alzare la voce.

È normale perdere le staffe ogni tanto, però dovremmo ricordare che i nostri toni calmi possono placare anche il bambino: le urla generano altre urla, la pacatezza invece ha lo straordinario potere di rasserenare l’atmosfera.

Questo non vale anche nei rapporti tra grandi? Quante volte, coloro che non sanno dialogare, urlano per farsi ascoltare? Quanti dialoghi perdono tutto il loro potenziale per colpa dei toni?

I bambini allora ci insegnano questo:

se chi hai di fronte urla, tu mi mostragli un’altra via, non scendere al suo livello, non ripararlo con la stessa moneta
 .

4. Il nervosismo è contagioso, il sorriso pure

L’aggressività genera altra aggressività, le urla portano solo ad urla più forti. Al contrario, la calma genera calma e il sorriso, altri sorrisi.

Ricordo che quando ho portato mio figlio all’asilo nido per la prima volta, l’educatrice mi chiese che temperamento avesse il bambino. Le risposi che era un bimbo vivace, molto socievole e sorridente. Sì, le dissi proprio: “Sorride a tutti”.

Credevo fosse un lato del suo carattere – e forse in parte è così – ma ciò che mi stupì è che lei commentò: “Allora significa che intorno a lui ha molte persone che sorridono”.

Non siamo una famiglia idilliaca, capita che non tiri proprio una bella aria tra le nostre pareti domestiche, però, pensandoci bene, aveva ragione: molto spesso, sebbene non sempre fossimo di buon umore, “scavalcavamo” il nostro stato d’animo e gli sorridevamo. E questo non capitava solo a noi genitori, ma anche ai nonni, agli zii, agli amici. Ciascuno, di fronte al nostro bimbo, metteva da parte i propri problemi e sorrideva a quel frugoletto, forse anche perché lui era capace con la sua spensieratezza di far scordare per qualche ora amarezze e complicazioni. Questo atteggiamento positivo, a detta dell’educatrice, portava anche il bimbo ad essere positivo e fiducioso verso il mondo esterno.

Ecco, allora, un’altra lezione di vita: ricordiamoci di sorridere, perché come il nervosismo è contagioso, anche il sorriso lo è… Possiamo davvero rendere migliori gli ambienti in cui ci troviamo se proviamo a sorridere, nonostante i problemi che ci affliggono.

5. Non rinunciare mai alla musica

Si sa: la musica funge un po’ da una bacchetta magica per i genitori, quando si tratta di calmare pianti e malumori. Quante volte i bimbi molto piccoli si svegliano nel cuore della notte disperati, per poi riaddormentarsi beati grazie al canto della loro mamma? Quante volte sono annoiati, tristi, nervosi e poi si acquietano ascoltando una canzone?

La musica ha il potere di placare lo stress, di rasserenarci. Lo sguardo incantato, disteso dei bambini quando ascoltano una melodia dovrebbe invitarci, allora, a riprendere – se l’abbiamo persa – l’abitudine di intrattenerci con della buona musica.

E voi? Avete appreso altre regole di comunicazione dai neonati? Se volete, scrivetele nei commenti! Certamente l’elenco che vi abbiamo proposto si può arricchire.

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