giovedì, Novembre 7 2024

Come si fa a vivere in pace mentre nostro figlio cresce e diventa adolescente. E senza mai smettere – e questa è la parte più difficile – di essere quelli che siamo, sempre fedeli a se stessi: sposi, genitori, figli. Questo è il succo di un piacevole articolo che ho letto recentemente in una rivista francese, Parenthèse magazine (n. 32, Avril-Mai 2013).

La prima sensazione che si ha davanti a un figlio che cresce è: questa è la vita. Sì, la vita di tutti noi, essere umani, che ad un certo punto scoprono che ciò che fino a poco tempo fa era uncucciolo d’uomo, ora, d’un tratto – certamente c’è qualcosa di miracoloso – diventa “grande” (le virgolette qui son d’obbligo… Si capirà più avanti…). E davanti a questo essere uomo o donna che sempre di più mi assomiglia, ora la domanda diventa inesorabile: perché-sono-nato.

Lo so. La domanda se la sono posta miliardi di persone vissute sulla faccia della terra: ma questa volta è diverso, è come entrare in un paese, tanto vicino quanto lontano, misterioso eppure conosciutissimo, che si chiama Vita.

E tutto questo viaggio inizia appena nostro figlio o nostra figlia varca quella soglia della nostra porta, con una gioia insolita, che non vedevi dai tempi ormai remoti di quando lo avevi tra le braccia per cullarlo e trastullarlo, ti abbraccia (e qui già pensi che ti dovrà chiedere qualcosa, forse un aumento della paghetta) e ti dice: Mamma, Papà ti presento un amico. E alle sue spalle appare ciò che non ti saresti mai immaginato di vedere dentro casa tua.

Smarrimento. Esso è l’unica reazione che ti prende quando devi salutare l’amico o l’amica più importante di tua figlia o di tuo figlio.

È un amico lontano anni luce da voi, dalla vostra scala di valori. Vostro figlio, concludete, si è infatuato di un compagno di classe insolente, ed esercita su di lui una vera fascinazione. Il giorno dopo lo guardate bene e vi dite: Non lo riconosco più… Perché? Perché non vi fila più. Si veste addirittura come veste lui o lei. Voi provate a farlo ragionare, ma lui, lei girano i tacchi ed escono infastiditi dal vostro mondo. Intanto vi state guardando un film che vi fa impaurire: dopo una settimana di frequentazione con questo nuovo compagno, lui, lei, vostro figlio, vostra figlia, già fuma una “canna”! Dopo un mese è bocciato alla maturità! E dopo un anno siete quasi arrivati agli anti-depressivi!

Ma perché vostro figlio frequenta queste cattive compagnie? Voi gli avevate offerto per lui solo il meglio: la miglior scuola della città, i migliori club sportivi, avevate sempre programmato le sue uscite e le sue serate. Dove, dunque, avete, sbagliato? Tutto il vostro “programma” educativo è stato annientato da un adolescente, amico di vostro figlio?

La rivista francese ci spiega che tutto questo è normale. Cioè, per essere padri e madri non servono i manuali: “Niente di nuovo sotto il sole”, dice sapientemente Qoelet. E per spiegarcelo intervista importanti psicologi, che ci rispondono che “un cambiamento brutale di attitudini può semplicemente corrispondere ad una evoluzione naturale che si esprime spesso all’inizio dell’adolescenza”. L’adolescente “oscilla tra insolenza e gentilezza, tra mutismo e confidenza, opponendosi e trasgredendo le regole”.

Sono tutti, si affrettano a rassicurarci gli psicologi, comportamenti tipici di un’ordinaria adolescenza e gli amici in questione non è che hanno un ruolo fondamentale in tutto questo: le cattive compagnie hanno le spalle larghe e i genitori – sottolinea Sophie Marinopoulos, autrice del libro Le corps bavard– preferiscono dirsi che il loro figlio agisce esclusivamente influenzato dall’amico. Ma questo, continua la Marinopoulos, permette loro di liberarsi da tutto svincolandosene. A volte è più prudente ricercare ciò che veramente affascina il proprio figlio in quell’amico che segue dappertutto; e accettare che non si è più il solo punto di riferimento del proprio figlio adolescente.

Secondo un sondaggio, presente nella rivista, 7 genitori su 10 (il 76% degli intervistati, di cui 81% delle mamme contro il 71% dei papà) confessano di aver paura che il proprio figlio possa avere delle cattive compagnie. I genitori si dovrebbero domandare la causa di questa loro antipatia verso gli amici del figlio o della figlia, e forse sorgerebbe l’esistenza di un pericolo di rivalità che li mette in secondo piano.

Perciò, è molto meglio ri-stabilire un nuovo rapporto con i nostri figli quando questi entrano nell’adolescenza. Ad esempio, imparando a condividere di più in famiglia. Se è vero che “in adolescenza il bambino si emancipa dai suoi genitori per diventare adulto e costruire la propria personalità”, i nuovi legami sociali che egli comincia a tessere partecipano alla costruzione del suo essere e promuovono la sua autonomia. E in questa crescita umana è indispensabile l’amicizia, “il meno naturale degli affetti, il meno istintivo, organico, biologico, gregario e indispensabile”, scriveva C. S. Lewis, nel saggio I quattro amori:

“In questo tipo di affetto – come disse Emerson – “Mi vuoi bene?” significa: “Vedi la stessa verità?” o, per lo meno, hai a cuore la stessa verità? Chi concorda con noi sul fatto che una certa questione, dagli altri considerata secondaria, è invece della massima importanza, potrà essere nostro amico. Non è necessario, invece, che egli sia d’accordo sulla risposta da dare al problema”
.

La vocazione di genitore, forse da riscoprire in quest’epoca del superfluo, o come la chiama Bauman, in questa società fluida, è quella del prendersi cura, di accompagnare con coraggio e decisione. E con tanto amore. Di essere, o di ritornare ad essere, modelli amabili di vita buona. Diceva qualche settimana il Papa Francesco: “Questo mi fa pensare ad una cosa che sant’Ignazio di Loyola diceva ai gesuiti, quando parlava delle qualità che deve avere un superiore. E diceva: deve avere questo, questo, questo, questo… un elenco lungo di qualità. Ma alla fine dice questo: “E se non ha queste virtù, almeno che abbia molta bontà”. È l’essenziale.

Mi piace concludere con una nota d’umorismo, tratta da Cosa c’è di sbagliato nel mondo, di Gilbert Keith Chesterton: “Mi viene spesso chiesto in tono solenne cosa penso delle nuove idee sull’educazione femminile. Ma non esistono idee nuove sull’educazione femminile. Non c’è, né c’è mai stata, neppure l’ombra di una nuova idea. Tutto ciò che hanno fatto i riformatori dell’educazione è consistito nel chiedersi come ci si fosse comportati nel caso dei ragazzi e poi nell’applicare la medesima cosa alle ragazze; esattamente come si sono chiesti cosa veniva insegnato ai giovani signorotti e poi l’hanno applicato anche ai figli degli spazzacamini. Ciò che loro chiamano idee nuove sono in realtà idee molto vecchie applicate in luoghi sbagliati. I ragazzi giocano a pallone, perché non dovrebbero giocarci anche le ragazze; i ragazzi indossano uniformi con i colori della scuola, perché non dovrebbero averle anche le ragazze; i ragazzi vanno a centinaia nelle scuole diurne, perché non dovrebbero andarci a centinaia anche le ragazze; i ragazzi frequentano Oxford, perché non dovrebbero andarci anche le ragazze – in breve, ai ragazzi crescono i baffi, perché non dovrebbero crescere anche alle ragazze – questa è la sintesi del loro concetto di nuove idee”.

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