giovedì, Novembre 7 2024

Vi è mai capitato di guardare una vecchia serie tv o un film di molti anni fa e di trovarlo particolarmente offensivo?

Offensivo verso le comunità che oggi stanno lottando per una parità non ancora pienamente raggiunta in alcuni Paesi del mondo; non ancora liberatesi totalmente di stereotipi che fino alla generazione precedente, erano motivo di facile identificazione di un’etnia oppure di battute goliardiche e dalla risata facile.

L’esempio più clamoroso di spettacolo caricaturale, è dato dal personaggio di Jim Crow. È Thomas Dartmouth Rice, attore bianco statunitense, che tra la fine dell’Ottocento ed inizio Novecento, ridicolizza i tratti somatici della comunità afroamericana dando vita a quello che oggi è conosciuto come fenomeno della black face.

Questi generi di “spettacolo” erano all’ordine del giorno malgrado non fossero esenti da critiche, soprattutto da parte della comunità rappresentata. L’impatto mediatico di Jim Crow fu tale da portare la società a chiamare le successive leggi razziali, emanate tra il 1877 e il 1964, come “Jim Crow Laws”.

Fu solamente con l’incedere dei movimenti civili per le rivendicazioni razziali degli afroamericani, che il genere perse  sempre più interesse e popolarità. La faccenda non è tuttavia conclusa: tutt’oggi, il fenomeno della black face provoca, in alcuni, una certa ilarità.

Ma come possiamo oggi riconoscere le discriminazioni rappresentate?

Anzitutto, questo genere di rappresentazione si basa su preconcetti e stereotipi dall’accezione negativa e finisce col raffigurare in maniera irrealistica la comunità presa in oggetto: ognuna di esse ha alle spalle una propria identità culturale e storica; ridurre l’essenza stessa di una comunità, o di un singolo individuo, a una raffigurazione macchiettistica non la rende una rappresentazione veritiera.

Il secondo aspetto da considerare è quello del retaggio culturale: utilizzare oggi la black face, dimenticando la sua storia, è “un’involontaria” affermazione che le ferite provocate alla comunità afro siano state nient’altro che piccolezze.

Il singolo individuo ha un proprio e personale bagaglio emotivo: per un ragazzo afro, sentitosi apostrofare con la parola “negro” (che oggi ha solo una connotazione discriminatoria e offensiva); qualunque sia il contesto in cui la si usa, qualunque sia l’intenzione di chi la utilizza, l’assocerà al proprio passato e ciò che ne scaturisce no sarà altro che paura.

Ciò che dunque differisce tra le generazioni passate e quella attuale, è principalmente la sensibilità con la quale vengono messe in pratica certe rappresentazioni. La società attuale gode di una sensibilità maturata al punto da vedere gli individui non come facenti parte di piccole classi sociali, ma inglobati in un unico ambiente che ci mette tutti a confronto.

Non possiamo dunque “non vedere” alcuni individui, giacché lo stesso dibattito sociale ci porta a confrontarci e a relazionarci con le tematiche etiche.

Critiche e polemiche che generano dibattiti

L’impatto mediatico di cui gode oggi una serie tv, un programma televisivo, la espone ad un giudizio globale e di conseguenza a percezioni sempre differenti. Sono varie le serie tv di grande successo accusate di essere stereotipate. La serie tv statunitense Homeland, ad esempio, fu pesantemente giudicata sul web di essere antislamica. Ancora: Emily in Paris ha generato non poca irritazione ai cugini d’Oltralpe, che hanno trovato la rappresentazione all’interno della serie come irrealistica e caricaturale. I francesi vengono mostrati come poco inclini a svegliarsi alla buon’ora per andare al lavoro e c’è un ridondante utilizzo del cliché sull’infedeltà.

Un altro esempio che paradossalmente ha generato per lo più ilarità che fastidio, lo troviamo in Corea del Sud: in Vincenzo, un ragazzo di origini coreane adottato da una famiglia italiana, si ritrova coinvolto in “tipiche” faccende mafiose.

All’epoca questo genere di critica era stroncata sul nascere. La forte ignoranza del periodo era spesso accompagnata da individui pretenziosi che sfruttavano ricerche scientifiche per avallare le proprie ideologie razziste. Inoltre, la divisione sistematica tra le diverse etnie, basata su presunte differenze inconciliabili, impediva ogni forma di contatto sia comunicativo e, di conseguenza, empatico. Era dunque una società in cui non c’era “bisogno” di discutere dei diritti civili giacché i soggetti non erano considerati alla pari.

La situazione oggi nel panorama mediatico e culturale

Oggi sono stati fatti degli enormi passi avanti rispetto al passato. Seppur siano ancor presenti forme di discriminazioni e preconcetti, il dibattito sociale ci spinge ad interrogarci sui diritti altrui e così permettere un’evoluzione culturale dapprima irraggiungibile.

La stessa, accompagnata ad un maggiore grado di istruzione, ha permesso l’accrescimento dell’empatia in ciascun individuo. I mass media di cui disponiamo, ci propongono costantemente immagini delle società e di realtà a rischio. Visioni che ci toccano per il grado di violenza, e per l’evidente disuguaglianza, ci rendono impossibile non compararle ad altre, e dunque di elaborare e di interiorizzarne le ferite subite.

La critica che ne scaturisce è dunque più basata sulla comprensione di diverse prospettive rispetto alla nostra e di calarci nei panni di chi subisce certe condizioni discriminatorie.

La differenza generazionale sta dunque negli strumenti a nostra disposizione per poterci comparare alla società e soprattutto a coloro che non sono diversi da noi, come volevano farci credere non troppo tempo fa.

La rappresentazione delle comunità ha un enorme peso sociale ed educativo, va dunque compreso che è altrettanto importante e fondamentale farlo permettendo allo spettatore di conoscere una determinata cultura senza che questa subisca influenze esterne, e che dunque ne venga minata la sua integrità.

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