sabato, Aprile 20 2024

Si è da poco concluso il campionato europeo di calcio, che ha visto
sfidarsi le nazionali dei principali Paesi europei. L’Italia ha vinto e ha
portato la coppa a casa, ma il trofeo più grande lo ha conquistato
l’allenatore della Spagna, Luis Enrique, che ha dato a tutti una lezione
sulla gestione delle sconfitte difficili.

Colpiscono le sue parole, che hanno fatto il giro del mondo, dopo la
partita contro l’Italia, giocata egregiamente e persa ai calci di rigore.
Il CT della Spagna ha dato lezione di classe, sportività, signorilità e
onore complimentandosi con la squadra avversaria subito dopo la partita;
dimostrandosi una persona bella interiormente, oltre che un esperto del suo
mestiere. Certamente la vita lo ha temprato alle sconfitte, le sue vicende
personali lo hanno posto di fronte a ciò che davvero conta nella vita. E se
in seguito alla perdita prematura della sua bambina, dopo una malattia che
non dovrebbe colpire i bambini, ci si aspetterebbe un uomo arrabbiato con
il mondo e con la vita, chiuso nel dolore senza spiegazione, lui ci offre
un’immagine di un uomo diverso, esemplare, Uomo con la U maiuscola. La sua
bimba di 9 anni è morta per un tumore alle ossa; un dolore così grande
potrebbe annichilire e distruggere, invece lo ritroviamo nella panchina a
bordo campo a vivere con sano distacco uno dei momenti più importanti della
sua carriera, ponendosi al di sopra dei tormenti calcistici, delle
polemiche e delle malizie, esortando, spingendo e consigliando i suoi fino
all’ultimo minuto e dopo, quando l’Italia ha segnato il gol decisivo, lo
vediamo camminare incontro al CT avversario e complimentarsi con lui.
Invece di imprecare rassegnato alla sconfitta, lo abbraccia e gli dice che
ha meritato di vincere. Non solo, nel dopo partita rilascia dichiarazioni
sconcertanti per uno che è andato ad un soffio dalla finale del campionato
europeo, tra l’altro conducendo i campioni del mondo. E, facendo i
complimenti alla squadra avversaria, dice di sperare che la stessa vinca la
finale e afferma di tifare per l’Italia.

Il suo è stato un esempio di come si può vincere anche quando si perde.
Spicca la sua compostezza, la stessa con cui ha vissuto il grande dolore
della sua vita, dal quale sicuramente ha imparato quello che ha consigliato
ai giovani incollati alla tv: “Quando ti battono non devi piangere ma
rialzarti”. Come fa un uomo tanto provato ad essere così sereno, a portare
avanti un sorriso anche nelle prove della vita? Quasi non sembra vero. Ed
io che lo guardo provo stupore e ammirazione, perché incredibilmente
quest’uomo vince anche quando perde, di più: è un gigante nella sconfitta.
Forse questo gli deriva da quella esperienza a cui neanche la lingua
italiana dà un nome (chi perde i genitori è orfano, chi perde il coniuge è
vedovo, ma chi perde un figlio?); un’esperienza di impotenza: non ha potuto
salvare la sua bambina, ma solo accettare la realtà e vivere con
compostezza le sofferenze, senza appellativi magnificenti quali guerriero,
eroe, coraggioso o quant’altro, ma soltanto con una semplicità
sconcertante. La semplicità che gli permette di dire che dopo la sconfitta
con l’Italia non sarà per la Spagna una notte triste, gli permette di
scherzare con naturalezza con il giocatore italiano Chiesa durante i tempi
supplementari, dando al mondo una dimostrazione che il calcio si può vivere
con tranquillità, eleganza, umanità e signorilità, senza amarezza ma anzi
essendo contento della gioia altrui: incarnando le parole di San Paolo
nell’inno alla carità “non è invidiosa la carità, (…)non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male
ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità”.

Può un dolore, una tragedia enorme cambiare in meglio una persona? Forse
sì, perché, come in ogni dolore, quando arrivi a toccare il fondo avviene
un miracolo: in quel fondo trovi una Speranza a cui aggrapparti, che ti
riporta in alto cambiato. Quest’uomo ci insegna anche un’altra cosa: nulla
di ciò che si soffre va perduto, quello che si deve fare è trasformare quel
dolore in un’occasione per renderlo utile, non sprecare l’opportunità di
migliorarci, altrimenti al dolore si aggiungerebbe l’errore. Quindi quella
che all’apparenza doveva essere solo un’intervista dopopartita, è stata in
realtà un’emblematica esaltazione di valori da parte di un’anima in pace
che ha piena consapevolezza della scala di importanza delle cose, che ci ha
insegnato che non esistono nemici, ma avversari in cui vedere sempre un
fratello, che poi è il centro della visione cristiana dell’uomo.

Una consapevolezza che noi forse ancora non abbiamo, ma che dobbiamo
lottare per raggiungere. Perdere fa male, e di fronte alla sconfitta si
hanno due strade: quella della stizza, che hanno preso per esempio i
giocatori e i tifosi inglesi dopo aver perso la finale contro l’Italia, che
porta all’aggressività mostrando il volto peggiore dell’essere umano, e
quella dell’accettazione, segno di maturità oltre che di sportività, che,
come ci ha dimostrato Luis Enrique, porta al rispetto dell’altro e alla
serenità, perché l’importante non è non cadere, ma rialzarsi dopo la
caduta!

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