giovedì, Novembre 7 2024

I ragazzi di oggi, i cosidetti millenials, hanno sempre meno in comune con le precedenti generazioni. Una cosa in particolare li differenzia: il cellulare. Gli adolescenti non sono più abituati a muovere un passo senza il telefonino, diventato ormai il loro più fedele amico. Hanno bisogno di trovare un hotel o l’anima gemella? Una strada o un negozio? Nessun problema! A correre in loro supporto arriva sempre la tecnologia, ovviamente di ultima generazione.

E, sotto il peso del progresso, cade anche l’ultima fortezza: la scuola. Nelle strutture dedicate all’educazione e alla formazione dei cittadini del domani, inizia a farsi largo in più Paesi l’idea di portare ed utilizzare il cellulare anche tra i banchi di scuola. E subito, come allo stadio, ci si divide in due partiti: tradizionalisti e progressisti.

Il vecchio mondo, quello dei tradizionalisti, grida allo scandalo rimproverando autorità ed istituzioni di avallare comportamenti assurdi e poco educativi e continuando a sostenere che i giovani sono sempre meno socievoli e capaci di confrontarsi con i propri coetanei e gli adulti.

I progressisti esultano, sostenendo che è impensabile chiudere le porte delle scuole ai mezzi digitali che invece possono fungere da risorse imprescindibili.

L’uso del cellulare a scuola nei vari Paesi del mondo

Come sempre la verità non è mai assoluta. Se è vero che i cellulari hanno spalancato le porte ad altri mondi a scapito di quello reale, è anche vero che non si può non tenere in considerazione uno strumento che offre infinite possibilità, anche dal punto di vista educativo.

La verità è che forse non siamo ancora pronti all’evoluzione digitale e che, senza alcuna regola e senza alcun metodo, il rischio di minare l’autorevolezza e il ruolo degli insegnanti è molto forte.

Intanto negli Stati Uniti la didattica e le regole si stanno adattando alla proliferazione dei dispositivi con piano educativi sperimentali di “educazione digitale” che passano per App e programmi specializzati. In Inghilterra, programmi “protezionisti” hanno consentito di recuperare la disattenzione generata dai cellulari. Nelle scuole tedesche l’uso è disciplinato dai regolamenti adottati dai vari istituti, con differenze anche a seconda dei landër. In Francia, invece, il ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer ha introdotto il divieto di usare gli smartphone a scuola.

E in Italia?

Insomma paese che vai approccio che trovi. In Italia, proprio di recente è stato promosso dal Ministero della pubblica istruzione un decalogo, per un uso corretto del digitale a scuola. Regole certamente di buon senso. Peccato solo che si lasci tutta la gestione alla discrezionalità dei singoli docenti: “L’uso dei dispositivi in aula, siano essi analogici o digitali, è promosso dai docenti, nei modi e nei tempi che ritengono più opportuni”, ha sottolineato la ministra Valeria Fedeli, presentando il decalogo. E probabilmente è questa la parte che crea più timore del decalogo.

Le 10 regole italiane per un digitale intelligente a scuola

1 Ogni novità comporta cambiamenti.
Ogni cambiamento deve servire per migliorare l’apprendimento e il benessere delle studentesse e degli studenti e più in generale dell’intera comunità scolastica.


2 I cambiamenti non vanno rifiutati, ma compresi e utilizzati per il raggiungimento dei propri scopi.

Bisogna insegnare a usare bene e integrare nella didattica quotidiana i dispositivi, anche attraverso una loro regolamentazione. Proibire l’uso dei dispositivi a scuola non è la soluzione. A questo proposito ogni scuola adotta una Politica di Uso Accettabile (PUA) delle tecnologie digitali.


3 La scuola promuove le condizioni strutturali per l’uso delle tecnologie digitali.

Fornisce, per quanto possibile, i necessari servizi e l’indispensabile connettività, favorendo un uso responsabile dei dispositivi personali (BYOD). Le tecnologie digitali sono uno dei modi per sostenere il rinnovamento della scuola.


4 La scuola accoglie e promuove lo sviluppo del digitale nella didattica.

La presenza delle tecnologie digitali costituisce una sfida e un’opportunità per la didattica e per la cultura scolastica. Dirigenti e insegnanti attivi in questi campi sono il motore dell’innovazione. Occorre coinvolgere l’intera comunità scolastica anche attraverso la formazione e lo sviluppo professionale.

5 I dispositivi devono essere un mezzo, non un fine.
È la didattica che guida l’uso competente e responsabile dei dispositivi. Non basta sviluppare le abilità tecniche, ma occorre sostenere lo sviluppo di una capacità critica e creativa.

6 L’uso dei dispositivi promuove l’autonomia delle studentesse e degli studenti.

È in atto una graduale transizione verso situazioni di apprendimento che valorizzano lo spirito d’iniziativa e la responsabilità di studentesse e gli studenti. Bisogna sostenere un approccio consapevole al digitale nonché la capacità d’uso critico delle fonti di informazione, anche in vista di un apprendimento lungo tutto l’arco della vita.


7 Il digitale nella didattica è una scelta: sta ai docenti introdurla e condurla in classe.

L’uso dei dispositivi in aula, siano essi analogici o digitali, è promosso dai docenti, nei modi e nei tempi che ritengono più opportuni.

8 Il digitale trasforma gli ambienti di apprendimento.

Le possibilità di apprendere sono ampliate, sia per la frequentazione di ambienti digitali e condivisi, sia per l’accesso alle informazioni, e grazie alla connessione continua con la classe. Occorre regolamentare le modalità e i tempi dell’uso e del non uso, anche per imparare a riconoscere e a mantenere separate le dimensioni del privato e del pubblico.


9 Rafforzare la comunità scolastica e l’alleanza educativa con le famiglie.

È necessario che l’alleanza educativa tra scuola e famiglia si estenda alle questioni relative all’uso dei dispositivi personali. Le tecnologie digitali devono essere funzionali a questa collaborazione. Lo scopo condiviso è promuovere la crescita di cittadini autonomi e responsabili.


10 Educare alla cittadinanza digitale è un dovere per la scuola.

Formare i futuri cittadini della società della conoscenza significa educare alla partecipazione responsabile, all’uso critico delle tecnologie, alla consapevolezza e alla costruzione delle proprie competenze in un mondo sempre più connesso.

Il decalogo: tra paura e attese

Il documento del Ministero spaventa e rassicura, a seconda dei punti di vista, ma ciò che lascia interdetti è l’aver lasciato tutto alla discrezionalità dei singoli docenti, sia nei modi sia nei tempi.

Il problema di fondo resta l’aggiornamento e la motivazione del corpo docente che oggi ha non poche difficoltà a comunicare con i propri alunni, per esperienze totalmente diverse e lontane dalla nuova generazione.

Molti docenti ignoreranno completamente la circolare, confondendo il mezzo con il risultato e screditando le nuove tecnologie, non comprendendone appieno neppure le potenzialità. Altri probabilmente lasceranno i ragazzi in balia delle onde non riuscendo ad ottenere nessun miglioramento.

Oggi è impensabile escludere le innovazioni dalle scuole, sono parte di noi e hanno condizionato, in positivo e in negativo, le nostre vite. Questi processi però non possono essere gestiti dal docente di turno, ma vanno presidiati, studiati, approfonditi. Serve una cultura del digitale comune e condivisa. Serve una formazione specifica del corpo insegnanti su temi come ad esempio il cyberbullismo, il grooming, la dipendenza da tecnologia. Non si può lasciare tutto all’improvvisazione e alla sensibilità critica del singolo docente. Servono modelli educativi di riferimento, reali ed in carne ed ossa.

E serve soprattutto un monitoraggio di buone e cattive pratiche, con un Osservatorio che raccolga l’esperienza e ne promuova la buona. Altrimenti, come “insegnare i docenti”, come aggiornarli? Nessun cenno a questo nell’enunciazione di principi generali, alcuni di molto buon senso, bisogna prenderne atto. Eppure in Italia ci sono dei crediti formativi per l’aggiornamento dei docenti su questo fronte. Perché non investire su questo fronte?

Un ottimo esempio di docente moderno e capace di dialogare con i nuovi giovani è proprio italiano. Parliamo del professor 2.0, Alessandro D’Avenia, un insegnante acceso dalla passione, giovane, capace di interpretare e coinvolgere i giovani e spiegar loro prose e poesie di Leopardi, Ovidio o Dostoevskij.
Avevamo parlato di recente di Alessandro
D’Avenia proprio nella sua motivazione alla lettura di Dostoevskij.

Quindi è davvero così impossibile parlare di un modo nuovo? E’ davvero così impensabile trovare un punto di equilibrio tra modelli educativi tradizionali e innovativi? Vediamo intanto quali saranno i primi frutti di questo decalogo.

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