Valori e pubblicità: intervista ad Alfonso Méndiz Noguero
Il cinema e la pubblicità influenzano da sempre le nostre vite, i nostri consumi, orientano i nostri desideri e plasmano i nostri stili di vita. A volte in meglio, a volte purtroppo in peggio. Come e in che misura la pubblicità influisce sui nostri reali comportamenti e abitudini?
La pubblicità influisce sulla nostra condotta dal momento in cui agisce come un potente fattore di legittimazione sociale. I comportamenti che vediamo negli spot ci vengono mostrati con un’aura di legittimità e normalità sociale, e questo è ciò che fa sì che diventino dei riferimenti per i telespettatori. Sappiamo che la pubblicità ci mostra il mondo
dell’eccellenza (degli ambienti, dei personaggi, della musica) e noi abbiamo accettato, senza alcuna ragione a sostegno, che le condotte che vengono fatte vedere in TV sono anche quelle più socialmente riconosciute.
Con le pubblicità ci siamo abituati ad assistere a comportamenti impropri, ad entrarci in empatia, laddove, invece, dentro di noi li rifiuteremmo, ma che nel «patto di lettura» di uno spot pubblicitario accettiamo senza riserve per poterci far divertire dalla sua trama.
A volte, quando avvertiamo una dissonanza tra i nostri valori e quelli veicolati dai comportamenti rappresentati nella pubblicità, arriviamo addirittura a sospendere il giudizio morale o «attenuiamo» quella
dissonanza per poterci identificare con quel determinato personaggio. In tal modo, nella cornice della trama pubblicitaria arriviamo a promuovere interiormente pratiche come l’infedeltà, la provocazione sensuale, l’esaltazione dell’egoismo o la ricerca sfrenata del godimento. Queste attitudini, che all’interno di un sondaggio o più semplicemente nell’intimo di una riflessione personale sarebbero valutate negativamente da parte della maggioranza delle persone, quando queste ultime diventano telespettatori vengono esaltate e in un certo senso emotivamente «godute».
E ciò avviene perché, nel corso della sua storia, la pubblicità ha legittimato queste pratiche disseminandole come trappole.
…e sul nostro sistema di valori e credenze?
La pubblicità agisce anche come agente di socializzazione. Ci introduce in un mondo di valori condivisi, ci «dice» quali valori dobbiamo far nostri per acquisire il diritto di cittadinanza all’interno della
cultura contemporanea. Nel quadro di una società culturalmente disorientata le basilari istanze educative (famiglia, scuola e religione) sono state messe in discussione e, di conseguenza, un certo relativismo gode viceversa di ottima salute, potendo espandersi senza limiti. Nonostante un tale scetticismo costitutivo, i diversi tipi di pubblico sembrano aver assegnato alla pubblicità una grandissima autorità sociale rispetto ai valori, e in tal modo ciò che le loro storie ci dicono rispetto a questioni di grande importanza (le relazioni familiari, di amicizia, di coppia, etc.) vengono accettate come fonti insindacabili, come riferimenti che orientano i nostri giudizi di valore. Tale autorità viene prodotta su un doppio piano: epistemologico (che riguarda la conoscenza della
realtà) e deontologico (che ha a che vedere con come la realtà dovrebbe essere).
Secondo molti telespettatori, e in particolare per il pubblico adolescente, la conoscenza di come sono o come dovrebbe essere l’amore, la felicità, il successo personale e così via, non è relativo tanto a ciò che viene insegnato e appreso in famiglia o a scuola, quanto a quelle norme di socializzazione che la pubblicità ha stabilito. E questo poiché gli spot pubblicitari sono diventati una sorta di specchio dentro al quale rifletterci per trovare la nostra identità e i nostri valori.
Il modello di famiglia nella pubblicità negli ultimi 5 anni ha subito una notevole evoluzione. Si è passati dalla classica e immutabile rappresentazione della famiglia felice e rigorosamente con due figli «stile Barilla», ad una rappresentazione di molteplici modelli di nuclei famigliari: il single, il gruppo di amici conviventi come nel telefilm Friends,
fino alla coppia gay. E’ la pubblicità che segue la società o viceversa.
La relazione pubblicità-società è sempre a doppio senso. La pubblicità mostra i cambiamenti che si stanno producendo sul piano sociale (e in questo senso possiamo dire che la pubblicità segue la società), ma al tempo stesso promuove nuovi stili e valori sociali. Richard Pollay diceva che «la pubblicità è sì uno specchio, ma distorto». Riflette la società, ma pur sempre in modo decisamente capzioso: non riflette ciò che interessa al pubblico, quanto ciò che beneficia le aziende. Per questo alla questione che Lei pone – chi insegue chi – si dovrebbe rispondere che la pubblicità insegue, soprattutto, il marchio che viene annunciato, i suoi interessi particolari e le sue strategie di vendita, e quindi che i valori rappresentati non rispondono tanto a cambiamenti sociali quanto a cambiamenti strategici dell’azienda che sono strumentali all’accrescimento delle vendite.
Ciò si percepisce in modo particolare nell’ambito della famiglia. Adesso, ad esempio, è molto difficile vedere una pubblicità i cui protagonisti siano i componenti di una famiglia numerosa: le famiglie con 3 o più figli sono state sradicate dai palinsesti pubblicitari in tutta Europa. Ma non perché gli europei le rifiutino o le disprezzino, quanto perché le principali marche temono di essere etichettate come tradizionali o desuete. Infatti, non ci sono state querele o lamentale da parte del pubblico o delle associazioni dei consumatori rispetto alla presenza nelle pubblicità delle famiglie numerose: esse sono semplicemente scomparse dalla pubblicità per iniziativa delle aziende. Di contro, sì che ci sono state querimonie – totalmente disattese dalle marche – rispetto agli spot che presentano l’omosessualità come una «relazione piena e glamour». E non tanto come uno tra i tanti tipi di relazione possibile – per legittimarla – ma come la più onesta e sincera. È chiaro dunque che siamo di fronte a un tipo di decisione strategica, a una volontà di compiacere certi collettivi che possono arrivare ad avere molta influenza sociale, quando non a godere della simpatia delle politiche sociali di molti governi europei.
Fino a poco tempo fa i social media e i nuovi mezzi di comunicazione in genere, erano appannaggio a grande maggioranza degli adolescenti e comunque degli under 40. Ora anche le persone mature – alcune ricerche parlano addirittura degli over 70 – navigano con disinvoltura sui social network, chattano, postano selfie e usano il linguaggio dei «giovani». È una moda passeggera o il sintomo di una societ à sempre più sola?
Purtroppo non credo si tratti di una moda. Andiamo a vele spiegate verso un tipo di società marcatamente individualista. Le persone vivono in modo sempre più comodo, ma anche più solitario; dispongono di qualsivoglia dispositivo, anche se non hanno chi si prenda cura di loro. In questo quadro i mezzi online (Internet, reti sociali, etc.) costituiscono uno strabiliante strumento di «intrattenimento sociale» che maschera questo isolamento, oltre che un enorme surrogato di quel tipo di comunicazione presenziale che oggi tanto manca all’interno della famiglia e tra le persone. Ciò verso cui stiamo andando – si percepisce già tra molti giovani– è una società sempre più anonima, che diluisce la sua personalità in comunicazioni vacue e frivole, e che genera una preoccupante incapacità di entrare in relazione.
Tre spot positivi che parlano di famiglia negli ultimi anni?
Potremmo segnalare molte campagne positive che sono state fatte intorno alla famiglia. Sul blog che curo su «Pubblicità e cinema con valori» ogni settimana pubblico uno spot che dia un’immagine positiva dell’istituzione familiare e dei suoi valori. Per citarne solo tre tra i più recenti:
– IKEA (Spagna): Nada como el hogar para amueblarnos la cabeza (Niente di meglio della casa per ammobiliarci la testa) del 2014.
– True Move H (Tailandia): Compassion is true communication (La compassione è la vera comunicazione) del 2015.
– Vistaprint (Paesi Bassi): Father & son (Padre e figlio) del 2015.
Per concludere. Tre film dell’ultimo anno che educano ai valori, da consigliare ai nostri lettori.
Pensando ad un pubblico giovane e adulto, consiglierei i seguenti:
– Amore, cucina e curry (The Hundred-Foot Journey) di Lasse Hallström del 2014: sulla famiglia in un incrocio tra culture, quella indù e quella francese. Una commedia drammatica e gastronomica.
– Tutto può cambiare (Being Again), di John Carney del 2013: sull’amore, la fedeltà e il saper ricominciare di nuovo un amore nel fidanzamento e nel matrimonio. Un musical del regista di Once.
– Inside Out, di Pete Docter del 2015: sul ruolo delle emozioni nelle relazioni familiari e nelle decisioni personali. Cartone animato di Walt Disney-Pixar.
Il prof. Méndiz Noguero è Preside della Facoltà di comunicazione della Universidad Internacional de Catalunya (Barcellona), autore di diversi libri sulla pubblicità, dirige il blog Publicidad y Cine con Valores.