martedì, Dicembre 3 2024

Sarà perché due delle mie figlie fanno parte della generazione tristemente ribattezzata “generazione Covid”, di cui fanno parte adolescenti e preadolescenti, il motivo per cui sono particolarmente sensibile al disagio che i nostri giovani stanno vivendo in questo momento.

Certamente ci sono e ci sono state situazioni simili o peggiori di questa, basti pensare alle condizioni di guerra, povertà, ma nel mondo occidentale, che aveva abituato i ragazzi a un agio e a una sicurezza forse eccessiva, quella della “generazione Covid” sta diventando un’emergenza nell’emergenza.

E’ passato “solo” un anno dall’inizio della pandemia, che ha visto i ragazzi subire delle drastiche privazioni, che hanno dato loro la sensazione che gli anni più belli se ne stiano andando senza viverli e ora giunge l’angoscia del futuro, chiusa in una domanda che attanaglia: “finirà mai tutto questo?”

Lo spettro della depressione Molti studi recenti, tra cui uno riportato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), esaminano l’effetto della pandemia sugli stili di vita e il benessere dei giovani ed hanno evidenziato un aumento di sintomi depressivi in adolescenti e preadolescenti. Aumentano le fragilità psicologiche e i fenomeni di autolesionismo insieme ai disturbi del comportamento alimentare e allo sviluppo di dipendenze; oppure si riscontrano solamente problemi di sonno, ansia e irritabilità.

L’interruzione della routine ha smantellato il senso di stabilità. Limitati nel poter vedere i coetanei e senza la scuola, punto di riferimento in cui costruire relazioni positive, i ragazzi hanno aumentato il tempo impiegato davanti a un monitor a chattare, giocare ai videogames o semplicemente a non fare nulla. Molti ragazzi non escono neppure un’ora durante la giornata, impigriti, svuotati da ogni motivazione; per le ragazze passa la voglia di truccarsi e mettere quei jeans nuovi: “tanto chi mi vede?”.

All’inizio, sull’onda dell’adrenalina generata dalla novità della pandemia, facevano ginnastica nel salotto di casa, seguendo il trainer su youtube, ed era anche divertente! Ma ora, dopo un anno, anche questo ha perso il sapore di novità e si è velato di rassegnazione. Per questo aumenta la depressione, che nella maggior parte dei casi è silente e si cerca di nascondere per non far preoccupare i genitori o per una sorta di vergogna e pudore.

Mancando quella routine di cui i ragazzi hanno nutrito finora la loro esistenza, la malinconia, la paura e il senso di precarietà hanno preso il sopravvento. Difetta quella vita quotidiana fatta di consuetudini, di cose semplici, ma che realizza perché è la propria vita! Ma che spesso noi adulti sottovalutiamo o consideriamo solo cose da ragazzi. Allora è il momento di chiederci se noi adulti stiamo capendo pienamente i nostri figli, se li stiamo osservando attentamente, se ci stiamo calando a sufficienza nel loro mondo interiore, ma forse non lo facciamo perché non ne abbiamo il coraggio, perché in fondo le loro paure sono anche le nostre.


La famiglia come risorsa: sei semplici suggerimenti dell’Unicef

E’ qui, invece, che i genitori, il padre e la madre, hanno un ruolo fondamentale, creando uno spazio di relazione protetto in cui c’è la libertà di sbagliare e di esporsi con le proprie fragilità e inquietudini. Genitori che ascoltino, comprendano e accolgano il dolore dei figli, stimolando l’accettazione finalizzata all’adattamento. I genitori sono il miglior modello e la casa è il miglior posto dove apprendere l’abilità di adattamento. E’ ora di diventare padri e madri forti, che insegnino con l’esempio ad affrontare le emergenze. Prima di tutto smettiamo, noi adulti, di lamentarci e riscopriamo il senso della privazione.

Insegniamo ai nostri figli che l’assenza di una cosa ce ne fa apprezzare ancor più il valore, quando la si ritrova, e ci spinge a essere creativi nel trovare nuove risorse e nuovi significati. Consideriamo che una crescita matura non sia quella che si ha in un mondo ovattato e che piuttosto che togliere i sassi dalla strada dei nostri figli, dobbiamo essere accanto a loro quando cadono per mostrargli come ci si rialza, perché mai un percorso di crescita è lineare e scevro di tortuosità.

Coraggio creativo, non vittimismo

Inoltre sforziamoci di presentare modelli positivi di creatività, come l’iniziativa di una professoressa italiana che ha invitato i suoi allievi a raccontare come hanno vissuto la pandemia e ha raccolto in un libro le loro esperienze. Oppure l’esempio di tanti ragazzi che si sono dedicati ad attività creative, come chi ha creato una band musicale incontrandosi per suonare su una piattaforma virtuale o chi si improvvisa regista montando brevi cortometraggi o ragazzi che si sono dedicati a un progetto per creare un nuovo brand di abbigliamento.

Senza sminuire la gravità del fenomeno dell’aumento di casi di depressione giovanile, ma al contrario sorvegliando più attentamente e intervenendo prontamente al primo disagio osservato.

Facciamo attenzione a evitare di vittimizzare un’intera generazione e mostriamo loro che le difficoltà si superano affrontandole, trasformando un periodo critico in una opportunità, sfruttando quello che abbiamo e non rimpiangendo quello che non si ha più. E prima di tutto diciamogli che stanno mettendo in atto la più grande forma di amore: fare delle rinunce per il bene della collettività, per il bene dell’altro, spingendoli a una rivoluzione copernicana in un mondo che aveva messo al centro l’”IO”.

Spieghiamo ai nostri giovani un nuovo modo di guardare: l’altro, che prima spesso era il mio limite, ora è invece la mia salvezza perché è pensando al bene dell’altro che faccio il mio bene; quindi quelle restrizioni che mi sono imposte non limitano la mia libertà, ma le danno la massima espressione, poiché la libertà è sempre finalizzata al bene.

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