lunedì, Novembre 25 2024

Presentato nelle scorse settimane a Milano, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il primo rapporto di Focus in Media, Osservatorio della Fondazione per la Sussidiarietà, promosso in collaborazione con Sky Italia e a cura di OssCom, l’attivissimo Centro di ricerca sui media e la comunicazione della Cattolica diretto da Piermarco Aroldi.

Primo capitolo del progetto triennale “Televisione e Infanzia”, il report descrive l’offerta tv per il target da 0 a 14 anni in Italia al tempo del digitale terrestre e del satellite e offre un contributo critico e propositivo più generale dai rilevanti risvolti educativi e socioculturali, considerate le istanze antropologiche che investono il nostro tempo.

Offerta boom – Sparita quasi del tutto dalle reti generaliste italiane, a causa del disinvestimento operato dai principali player nazionali pubblico (Rai) e privato (Mediaset) che l’ha relegata in collocazioni residuali, la tivù per bambini e preadolescenti è approdata sulle ali della tecnologia digitale al variegato mondo dell’offerta tematica, grazie al satellite prima e al digitale terrestre poi. Con i suoi ventidue canali dedicati – calcolo che non include le versioni timeshifted +1 e +2, a programmazione differita – l’Italia è oggi tra i Paesi europei che possono vantare una maggiore quantità di offerta, assieme a Regno Unito, Spagna e Germania. Come si è detto, sono due i principali sistemi di distribuzione: il digitale terrestre, piattaforma in chiaro o a pagamento universalmente accessibile, su cui operano i principali player nazionali (commerciali e di servizio pubblico); il satellite, piattaforma a pagamento su cui operano perlopiù i player transnazionali. Dei ventidue canali, sette sono accessibili gratuitamente sul digitale terrestre e quindici a pagamento sul satellite e il digitale terrestre, con una quota totale ad accesso libero pari a un modesto 19%, superiore all’ancora più modesto 16,3% calcolato a livello europeo, dove ben 245 canali sui circa 300 complessivi risultano essere a pagamento. A questo proposito, stando ai dati raccolti, l’appeal dei prodotti per i più piccoli si rivela un vero e proprio driver del mercato pay soprattutto per il digitale terrestre.

Player nazionali e transnazionali – Tra gli operatori nazionali, occupano un posto di rilievo Rai e Mediaset, i due soggetti che da sempre condizionano il sistema tv italiano. Accanto ai due moloch, il gruppo De Agostini e l’editore Switchover Media (entrato di recente nel gruppo Discovery), entrambi già presenti sul satellite, regno incontrastato dell’operatore a pagamento Sky Italia. E proprio guardando al gruppo sat pay di Rupert Murdoch, e al suo bouquet ‘italiano’ di circa 30 canali (18 primari più versioni timeshifted), spuntano i player statunitensi che dominano il mercato internazionale: Disney, Viacom e Turner. Accanto ad essi, oltre ai citati De Agostini e Switchover Media, la britannica ChelloZone, il gruppo Fox, e, ultimo arrivato, Planet Kids, col suo palinsesto multiculturale in doppia lingua. Da segnalare per il sat free i due canali di Al Jazeera dedicati ai giovanissimi spettatori di lingua araba. I ricercatori di OssCom non mancano di sottolineare, a proposito di player, l’impegno della concessionaria pubblica Rai capace, con i suoi due canali tematici dedicati alle fasce prescolare e scolare, di porsi ai vertici di un ideale (e non “speciale”) miniclassifica europea di area, in coabitazione con la mitica BBC, modello assoluto per standard di qualità e di servizio al pubblico, per molti versi ancora lontano dall’essere eguagliato. In proposito, un dato su tutti: stando a quanto emerge dalla ricerca, la Rai spende ad oggi solo un quinto dell’omologa inglese per la produzione originale dedicata al segmento kids-tweens.

Target – Le strategie di posizionamento all’interno dello scenario competitivo si ispirano a criteri di sesso dell’audience, e soprattutto di tipo anagrafico. Tenendo conto in particolare di questa seconda variabile, più che consolidata a livello internazionale, il menù della tv italiana tende a distinguersi sulla base dell’età dei destinatari: quattordici canali per la fascia scolare da 7 a 14 anni; sette per la fascia prescolare da 3 a 6 anni; uno per i poco più che neonati, la fascia prima infanzia da 0 a 3 anni. Riguardo alle strategie mirate al sesso, non mancano esempi importanti, come nel caso della Disney che coi suoi canali Disney XD, orientato a un pubblico maschile e Disney Channel, più femminile, persegue precise politiche di nicchia. Più in generale, le strategie relative alla differenziazione di sesso praticate dai vari player riguardano soprattutto la programmazione destinata alla fascia scolare.

Tra educational e entertainment – Comesi preciserà ulteriormente in tema di criticità, nello scenario tivù italiano per bambini e preadolescenti emergono dinamiche di omologazione di varia origine. Non mancano, tuttavia, segnali positivi connessi a processi di sperimentazione lungo l’asse educational entertainment. La programmazione per la fascia prescolare ruota perlopiù attorno a titoli di animazione e si caratterizza per una forte impronta educativa. Ad essere valorizzata, in particolare, è la dimensione partecipativa e interattiva mediante schemi narrativi che mirano a coinvolgere il pubblico. Un esempio: Missione cuccioli di DeAKids, in cui i bambini imparano a prendersi cura del proprio cagnolino con l’aiuto di un dog-trainer. Più complessa la programmazione destinata alla fascia scolare, meno specifica di quella prescolare e aperta a un target il più ampio possibile, che tende a disperdersi sull’intera offerta televisiva giovanile e adulta, in un’ottica di vera e propria adolescentizzazione dell’offerta. La necessità di intercettare più sotto-target spinge ad attingere a piene mani all’esperienza dei canali generalisti, con palinsesti basati in gran parte sull’intrattenimento e su titoli e personaggi tratti dai blockbuster transnazionali. Un entertainment in alcuni casi ‘sicuro’, basato su un «patto fiduciario garantito dal brand», quasi sempre disponibile dietro pagamento di un abbonamento; in altri casi, ‘totale’: divertimento allo stato puro centrato su talent show, live-action a carattere seriale – sit-com e teen-soap ambientate in istituti scolastici o in ambito familiare –, format factual (legati ad aspetti della quotidianità, come vestirsi o cucinare) pensati per gli adulti e poi riformulati ad hoc in chiave tutorial/how-to (sotto forma di competenze da apprendere) a misura del nuovo target.

Marketing 2.0 – Nell’insieme, una programmazione premiata dagli ascolti e rinforzata dalla presenza di volti noti, spesso partoriti dall’infinita fucina dei talent e dei reality della tv generalista, apprezzati dal pubblico dei più giovani e dunque decisivi nelle strategie di accreditamento e di identificazione promosse dalle reti. Reti supportate sempre di più da siti istituzionali on-line, che consentono ai player di valorizzare ulteriormente la propria offerta con strategie che puntano a coinvolgere lo spettatore, mediante servizi e contenuti esclusivi, e a moltiplicare le occasioni di sfruttamento commerciale dei propri prodotti. In definitiva, strategie di marketing 2.0, che hanno nella evoluzione del web e della logica multipiattaforma due formidabili alleati e che trovano radicamento più generale nelle politiche legate allo sfruttamento commerciale dei diritti d’autore (licensing), mercato capace di generare nel 2011, nella sola Italia, oltre 300 milioni di euro in royalties. Interessante il richiamo al «character licensing», ruotante attorno a un’idea di personaggio – si pensi agli intramontabili protagonisti Disney – capace di generare un elevato numero di licenze nei settori più vari, dall’abbigliamento al materiale scolastico, e in questo senso vero e proprio brand da spendere nell’ambito di progetti integrati di merchandising.

Luci e ombre – Stando ai dati fin qui snocciolati, si potrebbe pensare che la Children’s Television targata Italia, all’indomani dello switch-off, non conosca alcun ostacolo. Ma a ben vedere non mancano le criticità. A cominciare dagli investimenti e dai contenuti originali e di qualità, non commisurati alla straordinaria crescita registrata sul piano quantitativo. All’origine di ciò, un mercato frammentato e piccolo, incapace di generare ricavi sufficienti a sostenere i costi di produzione. Ma anche un sistema che non stimola la varietà dell’offerta con strumenti di sostegno alla produzione e alla distribuzione di contenuti per i più piccoli e che dispone indicazioni di programmazione per la sola concessionaria pubblica, lasciando di fatto che questo segmento tv assuma un carattere prevalentemente commerciale. Di qui un tendenziale appiattimento dell’offerta, che si traduce in concreto in una marcata ripetitività dei palinsesti; in un riciclo da un canale all’altro di contenuti spesso assai datati (usati anche per richiamare un pubblico più adulto: su tutti, quello dei genitori); un ricorso eccessivo a prodotti stranieri, in particolare statunitensi, così rilevante che solo il 5% dei palinsesti è prodotto internamente contro medie che, ad esempio, nel Regno Unito e in Francia oscillano tra il 19% e il 17%. Tra le criticità potenziali emerse dalla ricerca anche una massiccia presenza sistemica della tv a pagamento, che rischia di creare una sorta di divide economico-culturale tra quanti possono permettersi di inseguire la qualità dei contenuti premium dei grandi broadcaster transnazionali, presenti quasi del tutto sulla piattaforma sat pay, e chi deve accontentarsi di ciò che passa il digitale terrestre.

In una fase di grave difficoltà del sistema tv italiano, che paga pesantemente la crisi economica generale e il sensibile calo della redditività, a fronte di una diminuzione dei ricavi pubblicitari 2012 del 17,9% (ultimi dati Agcom) e di un mercato sempre di più affollato, alimentato dal continuo ingresso di nuovi soggetti pronti a contendersi l’utenza su tutte le piattaforme disponibili, sono più che mai necessari meccanismi di sostegno e di regolamentazione, assieme a coraggiose scelte imprenditoriali di lungo periodo sul piano della qualità dei contenuti e più in generale degli investimenti produttivi, soprattutto nell’ambito dell’offerta per i più piccoli. Al di là dei dati esposti e analizzati, sembra essere questo, in estrema sintesi, il messaggio finale della ricerca e la sfida per i prossimi anni. Una tivù che sappia rispondere alle istanze provenienti dalle agenzie e istituzioni educative e che, al tempo stesso, sappia proporsi con prodotti unici e su misura dell’utenza, nel rispetto della pluralità di voci e modelli culturali. E che sappia stare al passo coi tempi, mediante una proposta multidevice in grado di sfruttare al meglio le possibilità offerte da Internet e dalle tecnologie di rete.

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