domenica, Novembre 24 2024

Uno dei miei film preferiti è “Nanook l’eschimese”, ( Nanook of the North, 1922), di Robert J. Flaherty. Lo considero un’opera maestra, ma mi piace specialmente perché l’ho scoperto da adolescente; si tratta di un rigoroso documentario sulla vita e le tradizioni degli eschimesi agli inizi del XX secolo ma anche un meraviglioso racconto di avventure. Ha fatto parte della mia educazione insieme ad altrettanti film, libri ed opere d’arte che oggi siamo soliti chiamare “non commerciali.”

Esploratore, geologo e cartografo, Robert Joseph Flaherty ebbe un primo contatto con gli eschimesi esplorando la Baia di Hudson, in Canada, per conto dell’imprenditore delle ferrovie William Mackenzie. Mackenzie l’incoraggiò a documentare la sua terza spedizione con una innovazione: una camera cinematografica Bell and Howell con la quale Flaherty sviluppò ben 10.000 metri di pellicola registrando il paesaggio ma anche le abitudini dei suoi abitanti, che ogni volta gli interessavano di più. Successivamente il film si perse in un incendio nella sala di montaggio di Toronto. Tuttavia, il disastro fu visto da Flaherty come l’opportunità per girare un nuovo film, poiché non era soddisfatto del primo registrato sulla vita degli Inuit. Cosicché, con nuove idee, una nuova messa a fuoco, ed il finanziamento dell’impresa di pelliccie Revillon Frères, Flaherty ritornò alla Baia di Hudson, per girare un nuovo film.

Flaherty, che stando alle sue parole, pretendeva di “mostrare l’antico carattere maestoso di queste persone finché ciò era ancora possibile, prima che l’uomo bianco distruggesse non solo la sua cultura, ma anche il paese stesso”, decise di concentrarsi sulla vita di un eschimese, Nanook il cacciatore, e della sua famiglia perché si accorse che solo in questo modo poteva narrare l’autentica vita di tutti gli abitanti di Port Huron. Nel primo film aveva ripreso persone ed azioni, ma ora avrebbe filmato le azioni di una sola persona. Inoltre, in questa occasione, portò con sé un laboratorio portatile per sviluppare il materiale direttamente sul luogo, affinché Nanook e la sua famiglia vedessero il filmato e capissero il processo del film passo a passo. Normalmente si dice che Flaherty non fece il suo film su Nanook bensì con Nanook. Credo che questa è la decisione che trasformò Flaherty in un vero cineasta che diede senso e direzione alle sue riprese. L’idea è antica: “l’uomo è la misura di tutte le cose create.”

Flaherty visse con Nanook e la sua famiglia per più di un anno. Filmò come cacciavano, come pescavano, come commerciavano, come si alimentavano, come costruivano i loro igloo ed i loro kayak, come giocavano e si divertivano, come educavano ed imparavano, come amavano e vivevano. Con scarse risorse tecniche ottenne un affresco vivido e complesso, inusuale ma bello al tempo stesso, sulla sopravvivenza di un gruppo di esseri umani in condizioni estreme, e sulla solidarietà e l’ingegno.

Come normalmente succede con le opere maestre, Nanook of the North ha generato una pluralità di letture ed analisi che incidono su aspetti particolari, come i metodi di ripresa di Flaherty o l’influenza del suo film nella Weltanschauung dei suoi contemporanei, secondo il paradigma del momento. Ammiratori e detrattori hanno fatto le loro considerazioni, rivendicando l’indubbia bellezza formale del film attraverso una cinefilia realmente ingenua, oppure attribuendogli effetti perversi come l’aver incoraggiato il colonialismo.

Non è certo questo lo spazio giusto per offrire un catalogo di interpretazioni, descrivere la genesi del film o smascherare discorsi sospettosi; è bene però affermare i valori che il film di Flaherty può apportare alla famiglia e alla comunità nella nostra epoca. Nanook mostra valori positivi come la solidarietà, la cooperazione, l’affetto, il buon umore, l’educazione di genitori verso i propri figli e la lotta cosciente per la sopravvivenza. Credo che Flaherty ha realizzato un film molto sensibile, con un ritratto della famiglia di portata globale. Non dissimulo la mia ammirazione per questo film, che considero un’opera maestra.

In generale credo che l’idea che la cosa bella e la cosa buona si presentano sempre uniti nelle opere d’arte sia erronea. Basti pensare aLa nascita di una nazione di David Wark Griffith o al Il trionfo della volontà diretta da Leni Riefenstahl nel 1934. Entrambe hanno incoraggiato processi sociali catastrofici, il loro contenuto è a dir poco diabolico, nonostante la loro costruzione cinematografica sia prodigiosa.

Win Wenders apre il suo stupendo film documentario Tokyo – Ga (1985), sull’opera del cineasta giapponese Yasujir Ozu, con parole realmente belle e credo anche buone: “Per quanto sono tipicamente giapponesi questi film, sono contemporaneamente universali. Io ho rivisto in loro tutte le famiglie del mondo intero, ed anche i miei genitori, mio fratello e me stesso. Per me, mai, né prima né dopo, il cinema è stato tanto vicino alla sua essenza e al suo proposito: offrire un’immagine dell’uomo del nostro secolo, un’immagine utile, vera e valida nella quale possa riconoscersi sé stesso ma soprattutto possa imparare qualcosa di sé stesso”.

Credo che succeda qualcosa di simile con Nanook of the North. Flaherty pensava che il successo del suo documentario si doveva al fatto che gli spettatori di tutto il mondo, assistendo alla vita di questa famiglia eschimese con i privilegi che il cinema concede, potevano riconoscere la propria vita. Al margine di tutte le contraddizioni che esistono in qualunque opera d’arte, credo che il film di Flaherty offra quell’immagine utile, vera e valida nella quale tutti possono riconoscersi.

Pensando al panorama attuale dei prodotti cinematografici, credo che sarebbe una buona idea “riscattare” Nanook dell’arcadia cinefila e programmarla nelle aule dosata in piccoli spezzoni, oppure proiettarla per intero ma convenientemente spiegata da un insegnante o un esperto. Questo lavoro è stato realizzato per ora solo in alcune scuole con un approccio che considero timido, quasi sempre come appoggio a una determinata materia umanistica. Per me la ragione è evidente. Nessun genitore avrebbe da ridire sullo studio della matematica, della lingua o della fisica, ma il cinema, nonostante l’importanza storica ed un grande numero di opere singolari, continua a essere visto come un passatempo.

Nel frattempo, bambini ed adolescenti sono parcheggiati per ore ed ore di fronte ai televisori e ai computer di casa con il “controllo parentale” perché non prendiamo in fondo sul serio che l’immagine audiovisiva trasmetta valori e modelli comportamentali. Alcuni occhi più sensibili possono educarsi con lo sguardo di cineasti che illuminano la nostra realtà e che staccano la nostra coscienza dai messaggi più immediati.

(*) Javier Bosch Azcona è collaboratore in progetti di ricerca dell’Università Cattolica di Valencia, produttore e sceneggiatore Filmografía de Robert J. Flaherty

Nanook of the North (1922)

The Potterymaker (1925)

Moana (1926)

The Twenty-Four-Dollar Island (1928)

White Shadows in the South Seas (1928)

Industrial Britain (1933)

The Glassmakers of England (1933)

The English Potter (1933)

Art of the English Craftsman (1933)

Man of Aran (1934)

Elephant Boy (1937)

The Land (1942)

Louisiana Story (1948)

The Titan: Story of Michelangelo (1950)

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