5 letture dopo l’estate
Casa
, di Marilynne Robinson
Einaudi, anno 2011, pp. 330
«Casa. Quale altro luogo più accogliente può esistere sulla terra? E perché
per loro sembra essere una sorta di esilio?» Questo è ciò che si chiede
Gloria Boughton, una professoressa di 38 anni, sfortunata in amore che ha
dovuto fare ritorno alla vecchia casa di famiglia per prendersi cura del
suo anziano padre. Essendo l’unica di otto fratelli a non essersi sposata,
il lavoro di assistente sembra essere fatto su misura per lei.
Nel frattempo a Gilead, un piccolo paesino dell’Iowa, succedono diverse
cose alcune delle quali la lasciano totalmente di sasso. Degli scossoni che
costituiscono l’asse portante del pluripremiato Casa, facendo di
questo romanzo una storia esemplare sulla famiglia, la fede e il perdono.
Marilynne Robinson, tra le più celebri e acclamate autrici statunitensi,
non scrisse Casa come una sorta di continuazione di Gilead, ma come un libro gemello di quest’ultimo.
Pur condividendo la stessa struttura, difatti, assistiamo qui a un cambio
di prospettiva. Jack, il figliol prodigo del Reverendo Bougthon, ritorna
inspiegabilmente a casa dopo 20 anni trascorsi senza alcun contatto con i
familiari, più distaccato e misterioso che mai. Noto a Gilead come il
ladruncolo del paese, costantemente ubriaco e sempre alle prese con dei
nuovi problemi, Jack torna in seno alla famiglia il cui amore nei suoi
confronti, tuttavia, è rimasto intatto. Mentre in Gilead questa
successione di eventi è raccontata dalla prospettiva di Ames Boughton,
padrino di Jack e ministro della congregazione, Casa conduce il
lettore direttamente al cuore della famiglia, narrando il ritorno di Jack
attraverso gli occhi della sorella, Gloria. Risoluta nel perdonargli
qualsiasi precedente e nel sostenerlo di fronte alle sue difficoltà, i due
in poco tempo stabiliscono tra di loro un legame molto forte. In ogni caso
e al tempo stesso in cui si snocciola la storia vengono svelati alcuni
segreti relativi al passato di Jack. Era davvero tornato nel segno della
serietà e del pentimento, o piuttosto aveva altri piani per la mente?
Sebbene il suo ritorno fosse legato al desiderio di morte dell’anziano
padre, sarà realmente la causa del suo decesso? Nel leggere questo
pluripremiato romanzo ogni lettore, chi più chi meno, ritroverà sé stesso e
si sentirà a casa.
Piccole donne
, di Louisa May Alcott
Einaudi, anno 2011, pp. 316
Nonostante le critiche che l’abbiano apostrofata come «antiquata» a causa
del ritratto della femminilità e del tipo di strutture familiari
ottocentesche che offre, molti di quegli stessi critici hanno ammesso di
essere stati sedotti e deliziati dalla lettura del celebre Piccole donne di Louisa May Alcott. Scrittrice statunitense di
quasi due secoli fa, ci racconta la storia delle quattro sorelle March – le
cui personalità differiscono come le sfumature di colore in un dipinto –
che crescono a Orchard House con la madre negli anni della Guerra Civile.
La protagonista principale, Jo, dal temperamento fiero e verace, sconsolata
per il fatto di non poter andare a combattere in guerra come gli uomini,
presto impara ad usare la sua fervida immaginazione per mantenere intatta
l’allegria all’interno di una famiglia stremata dalla povertà. Dall’altra
parte ci sono le sue sorelle, la più bella e raffinata Meg, la più abnegata
e altruista Beth e, infine, la piccola Amy, le cui caratteristiche
distintive sono la correttezza e l’onestà. Basato sulle vicende della vita
stessa di Alcott, il romanzo attraversa conflitti e avventure dell’infanzia
delle sorelle March – che includono l’amicizia con il giovane ragazzo
europeo della porta accanto – la realizzazione di alcuni dei loro sogni e
l’amarezza per il mancato compimento di altri.
Se alcuni lettori presenti e passati hanno elogiato questo libro per
essersi rivisti in qualcuno dei personaggi o in alcuni aspetti del mondo di
Alcott, altri hanno ammesso di essersi addirittura persi al suo interno,
evidenziando la genialità dell’autrice. «Piccole donne è stato
scritto da una donna per le donne –come sottolinea uno scrittore molto
prolifico del XX secolo, qual è stato G. K. Chesterton– Perciò all’inizio
il mio primo istinto era stato di snobbarlo. Non so come resistetti a
quella tentazione, ma alla fine lo lessi e scoprii con indescrivibile
meraviglia che era terribilmente bello». Chesterton si sentì, alla pari
della giovane Laurie, un maschio intruso in un mondo tutto declinato al
femminile, attraverso il quale ammirare tutto il suo realismo, fino al
punto che arrivò a considerare questo romanzo alla stregua delle opere che
resero celebre il nome di Jane Austen.
Piccole donne
è un classico perché è la storia di ciascuno di noi, in questo caso di
ciascuna donna, manifesto del genio femminile, del suo spirito
indissolubile e tenace. È possibile che non ritroveremo le sorelle March su
un campo di battaglia, quello che è certo è che ognuna di loro deve
affrontare le proprie battaglie quotidiane, farci i conti, così come tutti
noi – a volte con successo, a volte no –, ma pur sempre con quel desiderio
per il bene e la crescita che anima qualsiasi lettore.
Ciò che inferno non è
, di Alessandro D’Avenia
Mondadori, anno 2014, pp. 317
Tra i più grandi rimpianti che le persone possono avere al termine della
loro vita dicono che ci siano: aver vissuto prigionieri delle aspettative
degli altri; aver lavorato troppo duramente presi dalla competizione; non
aver trascorso molto tempo con chi si amava; non aver avuto il coraggio di
dire la verità o di pronunciare frasi come “ti amo”, “sono fiero di te”,
“scusa”; non essere stati più felici.
Ma quando una vita viene vissuta interamente e totalmente come un dono, c’è
spazio per questi rimpianti?
Alessandro D’Avenia, autore del best-seller Bianca come il latte, rossa come il sangue, racconta nel suo terzo
libro, “Ciò che inferno non è”, la storia di don Pino Puglisi, un sacerdote
morto nel 1993 martire della mafia, nel quartiere siciliano di Brancaccio.
L’autore scrive di lui: “Don Pino non rimpiange nessuna di queste cose. Le
ha avute tutte nell’amore. Per lui era già tutto reale, per questo sorride
nell’attraversare la soglia”.
Il libro si propone di traghettare il lettore dall’ideale di una vita
comoda e fatta di apparenza, ad una vita vera, che acquista senso se spesa
per gli altri; questo testo invita a riflettere sul perché vale la pena
aderire ad un progetto nuovo – seppur antico quanto il Vangelo: quello di
perdere la propria vita per ritrovarla.
The giver
, di Lois Lowry
Casa Editrice Giunti, anno 1993, pp. 175
Meglio un mondo in cui tutto funzioni, ma senza amore; o un mondo
imperfetto, in cui però l’amore ci sia?
È preferibile un mondo senza dolore e senza emozioni; oppure un mondo in
cui esista il dolore ma con esso anche i sentimenti?
Sono questi i grandi interrogativi che Lois Lowry pone col suo libro “The
Giver” da cui è stato anche tratto l’omonimo film.
Il mondo di Jonas, protagonista della storia, è un mondo efficiente, dove
però non c’è posto per la libertà, per la comprensione, per la correzione
fraterna, per la compassione… per amare. La nascita, la morte, la vita
all’interno della società sono guardate in una prospettiva “funzionale” e
gestite in modo soavemente dispotico.
Le famiglie non si fondano più sull’amore e sulla volontà di un uomo e una
donna che investono in progetto comune, ma sono “create a tavolino”, da
persone preposte alla creazione di “unità familiari”; i ragazzi non sono
più responsabili delle proprie decisioni: qualcun altro decide della loro
vita; nessun errore è tollerato: l’imperfezione è punita con l’espulsione
dalla comunità. Unico criterio in questo mondo materialista è, appunto, la
funzionalità, indi per cui gli anziani, data la loro apparente inutilità,
vengono “congedati”, ovvero, fatti fuori fisicamente da quel mondo
“perfetto”.
Jonas è contento di come si svolge la sua esistenza, o meglio, crede di
esserlo, finché, grazie ad una strana figura che vive nella sua comunità,
scoprirà che le cose potrebbero andare diversamente.
Per lui inizierà allora una grande avventura: la ricerca della Vita vera.
Le memorie del passato lo spingeranno a riscoprire un’umanità ormai sepolta
dalla fredda, monotona, automatica ricerca dell’ordine, della comodità,
dell’apparente benessere…
Il risveglio della Signorina Prim
, di Natalia Sanmartín Fenollera
Mondadori, 2014, 264 pagine
Prudenzia Prim è una giovane donna, indipendente e piena di titoli
accademici. Per occuparsi di una biblioteca, raggiunge sant’Ireneo: è un
tranquillo villaggio i cui abitanti hanno dichiarato guerra al mondo
moderno. La signorina Prim vi è giunta in risposta ad un annuncio posto da
un signore irritante, ferocemente anti-moderno e tradizionalista, che ha
bisogno di un bibliotecario per ordinare i suoi libri. Lo scontro fra due
personalità opposte, entrambe forti, il dover trattare con la stravagante
gente del posto, metteranno in discussione molte delle ferme convinzioni
della signorina Prim e cambieranno la sua vita per sempre.
Scritto con intelligenza, grazia e stile, «questo è un libro che
affronta… una miriade di temi, come le relazioni d’amore, la bellezza, la
letteratura, l’arte, la filosofia e, per giunta, il femminismo» (recensione
del blog Bibliophile’s Reverie). In esso riecheggiano molti dei
classici della letteratura inglese, tra i quali il capolavoro di Jane
Austen, Orgoglio e pregiudizio.
“Il risveglio della signorina Prim”, prima opera di Natalia Sanmartín
Fenollera, già tradotto in otto lingue e pubblicato in 70 paesi, è una
bomba a orologeria intellettuale, sotto forma di racconto, ricoperta di
cioccolato, pasta sfoglia e buone maniere di un tempo. Dietro ad una storia
d’amore non convenzionale –almeno per i parametri di oggi – vi è un
confronto tra due mondi opposti: un mondo che è ostile al cristianesimo,
pur senza sapere di cosa si tratti, e guidato dal sentimento irrazionale,
senza esserne consapevole, e un mondo ordinato, guidato dalla ragione
illuminata dalla fede.