domenica, Novembre 24 2024

‘Instagram è dannoso per gli adolescenti, specialmente per le ragazze’. Ad affermarlo non è un gruppo di genitori apprensivi, magari anche un po’ ‘fuori moda’, ma una ricerca interna condotta proprio da Facebook – proprietaria di Instagram– rimasta segreta fino a qualche settimana fa. Fino a quando una ex dipendente, un ingegnere informatico addetto all’analisi dei dati, ha portato all’attenzione mondiale i dati raccolti in circa due anni di indagini tra gli Stati Uniti e altri paesi, anche europei.

Lo studio è stato svolto dall’azienda per capire meglio l’utilizzo di Instagram da parte dei più giovani, per rilevare come e se influisca sulla salute dei suoi utenti più giovani. Dai risultati, pubblicati dal The Wall Street Journal il 14 settembre scorso, emerge un quadro chiaro della situazione: Instagram peggiora i problemi connessi alla percezione del proprio aspetto fisico (come per esempio i disturbi alimentari), per un adolescente su tre. Dallo studio emerge anche che le teenagers accusano Instagram per l’aumento degli stati di ansia e depressione. L’esposizione ad immagini che esaltano corpi perfetti, tonici e super curati, che ricevono
migliaia di commenti positivi, e, di contro, quelli negativi che si possono ricevere per un’immagine che non corrisponda a canoni e modelli imposti da stereotipi di bellezza diffusi dai vari influencers, provocherebbero notevoli problemi a livello emotivo e psicologico per i giovani, che sempre prima e in maniera sempre maggiore utilizzano il social network. Tra le ragazze che hanno dichiarato di avere avuto pensieri suicidi, il 6% delle giovani americane, e il 13% di quelle inglesi, li hanno fatto risalire a Instagram.

A diffondere le ricerche è stata Frances Haugen, un’ex manager che all’inizio ha preferito l’anonimato e che poi ha rivelato la propria identità, apparendo in una trasmissione della CBS

News. Ed è stata, nei giorni scorsi, anche ascoltata dalla sottocommissione del congresso americano sulla sicurezza on line, che si sta occupando del caso.

Insomma, la questione ha suscitato molte reazioni, ed è diventata – negli Usa – un vero e proprio caso politico, mentre, nel mondo, ha riacceso l’attenzione sui danni cui possono essere esposti gli utenti giovani e giovanissimi che frequentano assiduamente i social.

I documenti interni di Facebook diffusi dalla Haugen hanno rivelato che il gigante dei social media era a conoscenza dei pericoli e ha fatto ben poco per affrontare i problemi e tentare di limitarne i danni.

I documenti – stando a quanto ripotato dalla Haugen – hanno mostrato inoltre i meccanismi per ottimizzare l’algoritmo e ‘spingere’ i contenuti polarizzanti, cosa che si è fatta di intento anche durante la campagna elettorale che ha visto la vittoria di Biden di fronte a Trump. Una parte nell’aumento della mobilitazione elettorale si deve probabilmente anche a queste pratiche di

Facebook per aumentare il guadagno economico dell’azienda di Zuckerberg.
Poi, e come provano I​ Facebook Files del giornale americano The Wall Street Journal , l’azienda ha due pesi e due misure per i “potenti digitali” e per gli utenti comuni: Gli influencer, cioè coloro con centinaia di miglia di follower, la spuntano nella censura intraziendale (il lavoro di migliaia dei Facebook fact checkers): così, per esempio, il calciatore Neymar può postare foto di una donna nuda;
dichiarazioni incendiarie da utenti comuni come che “Hillary Clinton ha protetto circoli di pedofili” o che “Trump ha chiamato animali agli immigranti che cercano asilo politico”, nonostante siano state verificate false dai fact-checkers, sono comunque diramate…perché attirano audience. Quindi, il principio molte volte dichiarato pubblicamente da Mark Zuckerberg non supera un fact checking casereccio: “Facebook Inc. permette ai suoi tre bilioni di utenti di parlare con lo stesso diritto e peso delle elite politiche, giornalistiche e culturali. I nostri standard si applicano a tutti con indipendenza del loro status o fama.

L’azienda si è difesa tentando di placare le preoccupazioni, dicendo che il The Wall Street Journal aveva pubblicato solo parte della indagine, della quale poi, però, sono state rese note tutte le varie sezioni e che, secondo loro, la ricerca dimostra proprio lo stato di attenzione per la questione.

A pochi giorni dallo scandalo, il 27 settembre 2021, Adam Mosseri, responsabile di Instagram, direttamente dal blog del social, ha annunciato la sospensione di Instagram Kids, e l’ulteriore sviluppo dell’app per bambini, dai 6 ai 12 anni, ‘per creare strumenti di supervisione dei genitori’- si legge nella nota. Da tempo l’azienda stava lavorando al progetto per intercettare una parte di utenti dei social, i bambini appunto, che in maniera sempre più massiccia frequentano altre piattaforme, come Youtube e TikTok, ma per il momento la decisione è stata quella di bloccare tutto, non si sa fino a quando.

Mentre, a poche ore dalla audizione della Haugen al Congresso, è stato lo stesso Zugerberg ad intervenire, diffondendo su Facebook il testo di una lettera che ha inviato a tutti i dipendenti nella quale precisa che, per lui, il profitto non viene prima degli utenti e che sono ‘illogiche’ le accuse dell’ex dipendente.

Insomma, non sta vivendo tempi tranquilli il magnate dei social, che nei giorni scorsi ha dovuto fare i conti anche con una delle più lunghe interruzioni delle sue piattaforme (Facebook, Instagram e Whatsapp) durata più di cinque ore e costata circa sei miliardi di dollari persi nella borsa, a parte le perdite dirette che ammontano a 900 milioni di dollari. Ed è facile immaginare che la questione dei pericoli di Instagram per gli adolescenti non si riesca a risolvere in poco tempo.

O almeno, dovremmo sperarlo, a questo punto.

In tanti si stanno chiedendo se i grandi social non si stiano comportando come le grandi multinazionali del tabacco di qualche anno fa, che pur conoscendo i pericoli dell’uso della sostanza, li hanno tenuti segreti.

E’ un fatto che i bambini, prima ancora di imparare a leggere, a scrivere, finanche a parlare, utilizzino i social e le varie piattaforme per ore e ore al giorno, con o senza la supervisione dei genitori, e spesso falsificando le età per ottenerne l’iscrizione. E’ un fatto che speriamo ancora riesca a sorprenderci, che riporti al massimo l’attenzione sull’uso dei social per più piccoli, specialmente da parte dei genitori. ​

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