domenica, Dicembre 22 2024

Spesso si parla di come aiutare i giovani ad avere senso civico. Si pensa di potenziarne l’insegnamento nelle scuole, di elaborare progetti che aiutino i ragazzi a rispettare chi hanno vicino e l’ambiente; a seguire le regole di buon comportamento che la vita in società impone per il bene comune.

Vanno senz’altro incoraggiate queste iniziative “esterne” alla famiglia, che inculchino, ad esempio, nei ragazzi il valore della legalità, ma un ottimo punto di partenza sarebbe ricevere questo tipo di educazione all’interno delle mura domestiche.

Il senso civico e il ruolo del padre

In occasione della festa del papà, che si celebra il 19 marzo, vorremmo fare un omaggio alla figura del padre, al suo fondamentale ruolo educativo per i figli e proporvi un regalo diverso dal solito, magari da gustare proprio insieme: un romanzo. Si tratta di un classico, Per questo mi chiamo Giovanni (Luigi Garlando edito da Rizzoli e uscito nel 2004), in cui il ruolo formativo del genitore emerge in tutta la sua forza e in tutta la sua bellezza.

“Per questo mi chiamo Giovanni”: la vicenda

I protagonisti sono un padre e un figlio di Palermo. La storia, ambientata nei primi anni del 2000, ci mette subito di fronte al problema dell’omertà.
La classe di Giovanni, infatti, che è un bambino di 9 anni, subisce ripetutamente atti di bullismo da parte di un ragazzino prepotente. Le merende e le figurine spariscono, avvengono misteriose cadute per le scale… Interrogato dal padre sull’ultimo atto di bullismo capitato in classe – di cui la maestra chiede spiegazioni – Giovanni afferma (come d’altronde fanno i suoi compagni) di “non aver visto nulla”, per paura delle ritorsioni.

È in quel momento che il padre capisce di dover raccontare una storia che ha cambiato la vita della loro città: quella di Giovanni Falcone, noto magistrato palermitano, assassinato quasi dieci anni prima del nostro libro, il 23 maggio 1992, dopo aver combattuto con determinazione e coraggio Cosa Nostra e le sue operazioni criminali estese nel territorio.

Padre e figlio, in accordo con la maestra, si prendono una giornata per loro: vanno al mare, mangiano assieme e soprattutto parlano. Il papà inizia a raccontare di un “famoso Giovanni” che ha saputo dire di no alla corruzione, alla legge del più forte, invece di piegarsi per paura o per convenienza, riportando la fiducia nella legge dello stato in una città segnata profondamente dalla mafia.

Spiega al figlio che la legalità deve vincere sempre, ad ogni livello e che esiste una legge giusta – quella della maestra – e una legge ingiusta – quella del coetaneo prepotente – anche a scuola: sin da bambini si devono rifiutare certe dinamiche, se non si vuole che “il carciofo” (come viene chiamata la mafia in gergo) cresca e si diffonda sempre di più, magari anche sotto un altro nome.

Perché consigliamo questo romanzo?

Il romanzo è molto istruttivo innanzitutto, perché, seppure si tratti di una storia inventata, i fatti riguardanti la vita di Falcone corrispondono a verità: il libro può essere considerato biografico, perché ci permette di conoscere ciò che egli ha davvero compiuto in nome della giustizia, di ammirare l’eroicità con cui ha portato avanti la sua missione, anche quando, per non essere ucciso dalla mafia, è finito lui in un carcere blindato, senza più poter andare nemmeno a mangiare una pizza o a fare un bagno nel suo mare, che tanto amava. Ci racconta la forza di un uomo che si è lasciato perseguitare in nome della giustizia, che non si è mai arreso, disposto persino a sacrificare la sua vita (morirà infatti a causa di un attentato a Capaci).

Ma la perla del libro è, ad avviso di chi scrive, che questo racconto viene veicolato da padre a figlio, come se fosse un’eredità preziosa, da custodire e condividere, come se ci fosse una responsabilità da “tramandare”.

Un libro che dà speranza per il futuro

Il libro mostra il desiderio di onestà di questo genitore che, dopo aver scoperto quanto l’eroico magistrato siciliano Giovanni Falcone ha fatto per la sua città, inizia a ribellarsi all’ingiustizia, rifiutando di pagare il pizzo (la “tassa” che le attività commerciali “devono” alla mafia se non vogliono saltare in aria). Grato a Falcone, dice “no” anche lui e vede andare in fumo il suo negozio. Ma è felice, perché non finanzia più con il suo denaro l’esplosivo usato dalla Mafia nei suoi attentati o l’acido con cui uccide i bambini di personaggi scomodi. È felice, perché non dà più da mangiare al “mostro”.

E decide di chiamare il figlio Giovanni, come Falcone, perché quel “no” al male sia scelto anche dalle generazioni future.

Perseguitati, ma liberi

Il bambino, dopo aver ascoltato attentamente la storia, decide di invertire tendenza.

Da quel momento in poi, ogni tanto torna a casa con un occhio nero, ma si sente meglio, perché non è più schiavo dell’ingiustizia: vivere nella verità lo fa sentire libero.

Il libro, consigliato anche a partire dai 10-11 anni, viene spesso usato in aula per parlare della mafia e della giustizia sociale. Perché non usarlo anche in casa, per riflettere su quanto bene possa fare la presenza di un padre giusto nella vita del proprio figlio?

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