venerdì, Novembre 22 2024

E’ mattina già avanzata. La tazzina di caffè si è ormai freddata sulla mia scrivania. Raccolgo gli ultimi appunti sparsi qua e là e guardo velocemente l’ora. Devo telefonare. Appena due squilli – lunghi e metallici – e subito mi risponde una voce femminile. Gentile e decisa. E’ Rosaria D’Anna. Ci eravamo conosciuti qualche mese prima a Roma, per parlare di politiche sociali e famiglia. Come un vulcano della Campania, la sua terra di origine, si era rivelata fin da subito un magma di idee e di proposte. Così, quando ho pensato a una intervista sull’importanza del carisma e della leadership nella società di oggi, mi è subito venuta in mente lei, per farmi raccontare la sua esperienza. Rosaria D’Anna è Presidente nazionale da più di un anno e mezzo dell’AGE – Associazione Italiana Genitori. E’ moglie, mamma di due ragazze, ma soprattutto genitore fortemente consapevole e motivato dell’importanza di essere parte attiva nel percorso educativo dei propri figli. E questa sua vocazione all’educazione familiare si sposa in pieno con la sua figura di Presidente della principale Associazione dei genitori in Italia.

Rosaria, Papa Francesco in una udienza generale di qualche anno fa, dedicata ai carismi nella Chiesa, ha affermato che la persona carismatica è colui che ha ricevuto un dono dalla grazia, dono che deve mettere al servizio di tutti. Sebbene il Papa si riferisca alle  istituzioni ecclesiali, il giudizio vale anche in senso più ampio, per ogni associazione che vuole servire il bene comune sulla spinta di una mission e di un talento da fruttare. Quanto ti riconosci in questa frase?

Sono pienamente d’accordo. Il carisma è un dono che si ha dalla nascita. Chi ha la grazia di riceverlo, ha il dovere morale di metterlo a disposizione della sua comunità sociale di riferimento, per servire il bene comune, non certo per comandare o fare i propri capricci. Non so se sono una persona carismatica. Mi sento piuttosto una persona aggregante, che lavora per unire la sua collettività. Nel mio caso, più di 5 mila genitori di tutta Italia, iscritti all’AGE, la nostra Associazione. La mia visione di Associazione è fortemente collegiale. Mi piace costruire sinergie comuni, con collaboratori e associati. La chiave di tutto è essere credibili e sempre disponibili. Se si vuole essere un punto di riferimento per gli altri, bisogna conquistarsi prima di tutto la loro fiducia giorno per giorno, con fatti concreti e non solo parole, portando fino il fondo l’impegno preso. Ed essere sempre sul territorio, disponibili e pronti al dialogo in un’ottica sempre propositiva e risolutiva.

Sono d’accordo con te. Tuttavia qualsiasi istituzione con il tempo corre il rischio di perdere questo “fuoco vivo” che ora ti sento addosso. La gestione della quotidianeità infatti rischia di normalizzare la propria missione e di far venire meno lo spirito iniziale. Il pericolo è quello di perdere creatività ed idee, smettere di produrre contenuti per diventare dei semplici incubatori di processi, burocrazia e relazioni. Come si può evitare tutto questo e mantenere un giusto punto di equilibrio? Riuscite ancora dopo tanti anni a essere vivi e creativi nella produzioni di idee, contenuti e soluzioni per la collettività a cui fate riferimento?

Il rischio che una Associazione con il tempo perda il fuoco delle origini ci sta. E’ normale. L’importante è che non smarrisca la propria strada, lapropria identità  e che non tradisca i suoi associati e tutta la collettività di riferimento per puro calcolo politico e convenienze del momento. Certo, a volte, si corre il rischio di perdere tempo dietro a carte e burocrazia, togliendo forze ed energie alla realizzazione concreta dei progetti. Quello che si deve evitare è di diventare una scatola vuota, priva di idee, proposte e contenuti. Lo scollamento dalla realtà e la sopravvivenza fine a se stessa è la morte di qualsiasi istituzione. Per evitare questo pericolo, da parte mia, cerco il più possibile la relazione con i territori, per raccogliere le loro esigenze e i loro bisogni. L’AGE è nata 50 anni fa nelle periferie, non nei palazzi, ascoltando le problematiche e accogliendo le iniziative di tanti genitori e famiglie. Questa è la nostra missione e questo è quello che voglio continuare a fare.

Tra i compiti principali di un leader, c’è sicuramente quello di motivare e di formare i giovani, non solo dal punto di vista della preparazione tecnica, ma anche nella trasmissione della mission, dei valori e delle convinzioni. Quale è la tua idea di formazione?

La mia idea di formazione è molto semplice: educare attraverso gli esempi. Lo dico da moglie e da mamma. Non si può pretendere di salire sulla cattedra e iniziare a dare lezioni su valori e comportamenti. Bisogna semplicemente dare il buon esempio, in prima persona. I giovani, al contrario di quanto spesso si pensi, sono molto attenti ai comportamenti dei propri genitori. Ti faccio un esempio. Se i ragazzi vedono i propri genitori parlare al cellulare a tavola, durante i pasti, stai sicuro che inizieranno a farlo anche loro. Si sentiranno, per così dire, implicitamente autorizzati a farlo. Se invece vedono che i propri genitori non portano a tavola il cellulare o lo tengono spento, si aspetteranno senz’altro un rimprovero nel caso in cui dovessero usarlo. Non è questione di proibire o meno una cosa, ma di dare il semplice esempio. Salvare la convivialità a tavola in famiglia, è solo uno dei tanti piccoli gesti che un genitore deve fare usando il buon senso. Incontro ogni giorno tantissime persone. E mi accorgo sempre di più, con grande dispiacere, che nelle famiglie non si parla più, non si legge più, non si scrive più, non ci si guarda più negli occhi, ci si ignora. Al massimo ci si telefona o ci si manda messaggi, magari da una stanza all’altra della casa. Il tutto con un linguaggio sempre più frammentato e destrutturato fatto solo di “si, no, ok, va bene”, faccine ed emoticons. Dobbiamo tornare alla sana e vecchia chiaccherata di un tempo. La mia missione è quella di sollecitare continuamente in questi genitori la consapevolezza che non stiamo andando bene, non siamo nella direzione giusta. Dobbiamo far comprendere loro quanti valori e comportamenti sani abbiamo perso per strada nelle ultime generazioni, e quanto sia importante tornare a parlarci all’interno della nostra famiglia.

C’è un sogno nel cassetto?

Tra tante idee e progetti che abbiamo in corso, c’è un sogno: far tornare la scuola italiana al livello qualitativo di qualche decennio fa, quando il maestro era una figura di riferimento sociale per tutta la comunità, rispettata sia dagli alunni sia dai genitori. Parlo della scuola dove si insegnava la manualità, quella semplice dei lavoretti pasquali, natalizi ad esempio. Lavoretti che i genitori mostravano poi con orgoglio nel salotto di casa. La manualità delle antiche tradizioni e del saper fare, che era di forte aiuto nella formazione del carattere e delle virtù, messo ormai in disparte dal modello educativo dominante a favore di un nozionismo povero e improduttivo. Ma per far questo bisogna tornare a investire e a formare i docenti, spesso sotto pagati, precari e abbandonati a se stessi. Dobbiamo combattere per una buona scuola, perché la formazione dei propri figli è il fine più nobile di ogni società. Spero che non rimanga solo un sogno.

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