lunedì, Novembre 25 2024

Ha fatto discutere il mondo intero la vicenda di Charlie Gard, neonato britannico deceduto lo scorso luglio, dopo una lunga battaglia legale tra i medici che lo avevano in cura presso il Grand Ormond Street Hospital di Londra e i suoi genitori.

Ora che il caso si è “chiuso” e che si sono acquietate le polemiche – la vicenda ha goduto infatti di un’intensa copertura giornalistica ed è stata oggetto di strumentalizzazioni ideologiche e mediatiche – vale la pena tirare le somme per imparare qualcosa da questa storia.

Ricordiamo in sintesi l’iter della vicenda

Al neonato, poche settimane dopo la nascita, viene diagnosticata una malattia genetica rara. Ricoverato in ospedale, dapprima viene tenuto in vita con dei respiratori artificiali, poi i medici, dopo aver tentato varie terapie, prendono la decisione di interrompere ogni tipo di trattamento e di lasciarlo morire, contro il parere dei genitori, che invece chiedono di poter tentare delle cure sperimentali.

La delicata questione finisce in mano ai tribunali britannici, da cui scaturiscono sentenze contraddittorie. La prima, infatti, si rivela a favore dei genitori, la seconda dei medici. I signori Gard si appellano, allora, anche alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che a sua volta appoggia i medici.

I genitori vorrebbero portare il bambino in America, a loro spese (sono infatti riusciti a racimolare il denaro necessario con una colletta attarverso le reti sociali) per tentare una cura sperimentale, ma al piccolo viene impedito di lasciare il Paese nativo. La mamma e il papà di Charlie ricevono anche la proposta di portare il figlio in Italia, all’ospedale Bambin Gesù di Roma, dove i medici sarebbero disposti ad accudirlo; ma anche questo, viene impedito per “motivi legali”.

Sono molte le ombre, le ambiguità, i cavilli burocratici, i pareri discordanti che hanno accompagnato la tragica storia e che sono stati riportati con inquadrature differenti dai mezzi di comunicazione di tutto il mondo.

A segnare la vicenda, è stata indubbiamente una scarsa chiarezza: un lettore medio, desideroso di informarsi ma che avesse poca dimestichezza sugli argomenti scientifici che venivano dibattuti, faticava a capire cosa stava realmente accadendo, quale era il punto centrale della questione, quali i rischi e i benefici dell’eventuale cura sperimentale, il perché dei “no” ripetuti di fronte alla possibilità di lasciarlo andare in altre strutture disposte ad accoglierlo.

C’è chi parla dell’operato dei medici come di un tentativo di praticare l’eutanasia senza palesare questa intenzione e chi sostiene che volessero solo interrompere cure che rientravano nel quadro dell’accanimento terapeutico. E’ certo che la decisione statale di assegnare ai genitori un’avvocatessa di parte (favorevole all’eutanasia) come rappresentante legale di Charlie non ha aiutato a giudicare con serenità i genitori né l’opinione pubblica. Loro avevano già un avocato ma lo Stato, attraverso un’ufficio para-statale che dipende dal Ministero di Giustizia, ne ha scelto uno per Charlie: si trattava di Victoria Butler-Coler, presidentessa dell’associazione pro-eutanasia “Compassion In Dying”. Quando i genitori lo hanno scoperto e hanno denunciato questo conflitto di interessi sono stati inascoltati.

Nelle guerre tutti perdono

Ad aggiungere benzina sul fuoco, tanti altri fattori collaterali. Ne segnalo soltanto alcuni:

– il fatto che ci sia stato un intervento da parte di Greg Burke, direttore della Sala Stampa Vaticana, che è stato rilanciato dai media come desiderio del Papa che i genitori fossero ascoltati. Ciò ha generato polemiche fra i cattolici sulla portata e sul signifiacto del tweet papale;

– un tweet di Trump, seguito da un decisione del Senato americano di approvare un emendamento per dare la cittadinanza a Charlie Gard e facilitare il trasferimento e ricevere le cure;

– l’offerta dell’Ospedale Bambin Gesù di una trasferta a Roma per tentare nuove cure e la squalifica del prestigioso ospedale vaticano da parte dell’agenzia Associated Press, che ha rammentato malaffari del passato nella gestione amministrativa ed economica dell’ospedale.

Insomma, nelle guerre, ancor più se ideologiche, tutte le armi disponibili vengono usate perché la nobiltà delle cause disputate è scontata per i contendenti. Nel turbinio tutti pescano: quelli che sono in buona fede e quelli che sfruttano il conflitto, come fanno gli speculatori nelle guerre.

La divisione ha intaccato anche la classe medica. Persino tra chi era del settore c’erano visioni molto differenti. Ci sono stati medici che hanno appoggiato in toto i dottori del GOSH e hanno visto nell’ostinazione dei genitori il tentativo inutile, seppur comprensibile, di due persone disperate e innamorate del proprio bimbo; ma ci sono stati medici, come il dott. Hirano, che ha accettato di mettere il nome e il volto in tutta questa vicenda, che hanno invece sostenuto che ci potesse essere qualche altra possibilità, proprio come il papà e la mamma di Charlie non si stancavano di ripetere (si legga ad esempio Charlie Gard, giudice chiede nuovi dati. Il medico Usa: “Tentare la terapia: chance dal 10 al 50%”).

Il ruolo dei media

La confusione è stata amplificata dalle visioni distantissime che assumevano i media, spesso dettate da ideologie preesistenti o da differenti concezioni di “dignità dell’essere umano”, “qualità della vita”, “rispetto per la vita” e che determinavano aprioristicamente il modo di raccontare tutta la storia. O, forse, i media hanno riflettuto come fossero uno specchio proprio il clima di incertezza che questa vicenda stava generando.

Che i mezzi di comunicazione si sarebbero occupati di questo caso era ovvio, dato che la storia si presentava al medesimo tempo drammatica, commovente, complessa e piena di sfumature. Il conflitto non poteva che suscitare interesse nel grande pubblico: da una parte avevamo due genitori distrutti, ma speranzosi e combattivi, aggrappati ad una speranza e pronti a smobilitare tribunali e ospedali di tutto il mondo; dall’altra dei giudici e dei medici che tenevano in mano lo scettro della legge e della scienza e che potevano passare da crudeli e insensibili carnefici o da sagge e incomprese autorità.

Tra i vari atteggiamenti dei media, si sono potuti distinguere i seguenti:

– alcuni media, hanno avvallato le tesi dei medici del GOSH, mostrando però al tempo stesso comprensione per la sofferenza e le richieste dei genitori. È il caso, questo, di uno dei principali quotidiani nazionali italiani Il Corriere della Sera, che riporta tutta la vicenda sul suo sito a partire dall’inizio;

– alcuni media, invece, si sono schierati con i medici senza vacillare, zittendo senza mezzi termini gli “inesperti genitori” e chiunque criticasse il parere dei dottori. Ci riferiamo ad esempio al noto giornale britannico The Guardian , secondo cui il parere dei medici non era contestabile;

– ci sono stati poi media che hanno insinuato il dubbio sull’operato dei medici, come il quotidiano italiano di ispirazione cattolica Avvenire, che ha seguito molto da vicino anche le vicende legate al possibile trasferimento del piccolo presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma, impedito, alla fine, per problemi legali;

– a dubitare dell’operato dei medici del GOSH, però, è stato anche il quotidiano statunitens The New York Times, secondo il quale nessuno può, a loro avviso, definire quale vita possa essere considerata degna di essere vissuta, ma ognuno deve essere lasciato libero di autodeterminarsi: in questo caso, i genitori avevano diritto di decidere per il bimbo. Il giornale americano, da posizioni liberali, si è schierato dalla parte dei genitori, ma non per il valore della vita o della dignità di ogni persona, ma per l’autonomia di essa. E’ interessante a proposito notare come questa vicenda abbia visto schierarsi dalla medesima parte giornali e riviste che, in molti campi, sostengono posizioni etiche ben diverse, come il quotidiano italiano Avvenire e l’americano The New York Times;

– altri media hanno accusato giudici e medici di aver addirittura condannato a morte questo bambino, sentenziando che per loro doveva morire senza voler tentare prima tutto il possibile;

– alcuni giornali popolari e scandalistici inglesi, come The Sun e Daily Mail, si sono schierati dalla parte dei genitori, dando loro voce e spiegando alcuni aspetti che altri media – tra cui quotidiani che avevamo fama di maggiore accuratezza e credibilità – trascuravano.

Sono solo esempi di una divisione forte di opinioni, visibile nella stampa internazionale e nell’opinione pubblica.

Di fronte a tante incertezze, il rischio era di cadere nel sentimentalismo, nel pietismo; di prendere una posizione più “con la pancia” che “con la testa” o di assumere posizioni rigide che cozzavano con l’amore e per il figlio dimostrato dai genitori e con la speranza offerta da vari esperti.

Alcuni elementi di luce e speranza

Una cosa, comunque, è certa: in una società dove si esalta la libertà individuale e soggettiva, si è lasciato decidere a dei tecnici la sorte di una bambino, togliendo di fatto la patria potestà ai genitori e tralasciando i pareri discordanti di altri tecnici.

L’ideologia diffusa in Occidente che sostiene come criterio ultimo l’autonomia della volontà (se una morale unica non c’è e ognuno ha diritto di decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato chi può veramente ergersi a giudice?), si è contraddetta: di fatto è stato dato ai tecnici della salute, dell’amministrazione, della legge il potere di decidere contro il parere di due genitori…

Ecco quali sono le conseguenze del relativismo di valori.

Un aspetto positivo è che Charlie, seppur coi suoi pochi mesi di vita e con il suo male incurabile che lo obbligava in un letto d’ospedale, ha contribuito a mostrare questa aberrante contraddizione, a risvegliare il buonsenso di molti cittadini e ad aprire nuove piste nel campo della ricerca e ad arricchire dibattiti in ambito etico. E quei genitori, forse un po’ eccessivi e “televisivi” nel loro modo di raccontare la storia e di crearsi alleati per salvare il proprio bimbo, hanno saputo dimostrare a cosa può portare l’amore sconfinato per un figlio, soprattutto se più bisognoso di cure.

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