giovedì, Novembre 21 2024

“Perché sposarsi?” è stata la domanda cui il professor Hèctor Franceschi, docente di Diritto Matrimoniale Canonico presso la Pontificia Università della Santa Croce, si è proposto di rispondere con la lezione inaugurale a lui affidata, durante la cerimonia di apertura del nuovo anno accademico.

Il docente, con la dovuta serietà ma anche con un pizzico di ironia, ha affrontato tale questione, estremamente attuale e delicata, partendo dalla constatazione che sempre più persone credono che si possa stare insieme anche senza sposarsi. Le unioni more uxorio, infatti, aumentano esponenzialmente, mentre diminuiscono i matrimoni. “Non è che sempre più giovani non si sposano in Chiesa, – ha specificato il docente – ma proprio non si sposano”.

Se il matrimonio è visto solo come una formalità

Sempre più spesso le coppie pensano che non sia poi così importante ‘ufficializzare’ il loro legame.

“Molti hanno una visione legalista del matrimonio e lo riducono ad una formalità, lo associano ad un documento o ad una bella festa… – ha spiegato il docente – Eppure il matrimonio è molto di più: limitarsi a legalizzare l’unione non è propriamente contrarre matrimonio. Il matrimonio non è qualcosa che viene costruito dalle leggi e dalle culture, è una realtà naturale, che, tuttavia, non si esaurisce affatto sul piano biologico e istintuale: esso è piuttosto ‘naturale’ nel senso che è la forma umana dello sviluppo completo della sessualità. Perciò, dobbiamo trovare dei modi per spiegare ai giovani che il dono di sé, in quanto maschio e femmina, in un’unione esclusiva, fedele, indissolubile e feconda rappresenta il bene dell’essere uomo o donna. E non perché lo dicano la Chiesa o lo Stato, ma perché così è antropologicamente”.

Il matrimonio come progetto di vita

“Uno degli elementi che impediscono la comprensione della vera natura del consenso matrimoniale è il fatto che i fidanzati intrattengono frequenti rapporti sessuali – ha sottolineato il docente – Questo rende difficile vedere che esiste un prima – in cui due persone si conoscono e maturano l’idea di sposarsi – e un dopo – in cui l’uomo e la donna, divenuti coniugi, si appartengono”.

Nella nostra società “attendere” significa spesso “perdere tempo”: siamo portati a vivere “tutto e subito”, “qui ed ora”, invece di intraprendere un cammino lungo e faticoso, che conduca alla verità su una unione e che la porti alla sua piena maturazione. Per questo fatichiamo a riconoscere la sostanziale differenza tra fidanzamento e matrimonio.

Tuttavia, in una cultura caratterizzata dal provvisorio e dalla ricerca di un benessere immediato, “dobbiamo saper trasmettere ai giovani che il matrimonio non è una semplice festa nuziale – ha precisato Franceschi – ma un progetto di vita, che coinvolge tutta la persona e che richiede delle virtù: fortezza, generosità, prudenza, magnanimità, carità al di sopra di tutto”.

L’importanza del vincolo

Citando Papa Francesco in Amoris Laetitia, Franceschi ha affermato che abbiamo bisogno di una pastorale del vincolo, che aiuti i giovani a capire che amare significa darsi in modo totale ed esclusivo, accogliere pienamente l’altro e non solo provare dei forti sentimenti.

Vale la pena sposarsi, ma vale la pena anche comunicare la bellezza e la ricchezza del matrimonio.

Si tratta di un impegno notevole, ha ammesso il docente in conclusione: “La sfida può sembrare immane, ma se cominciamo con l’adeguata formazione dei sacerdoti, dei fedeli laici e dei religiosi, saremo un efficace strumento nel cambiamento delle nostre culture. Le sfide sono grandi, ma abbiamo tutti gli strumenti per affrontarle”.

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