venerdì, Novembre 22 2024

In ogni momento della giornata c’è qualcuno che, non è lì con noi, ma ci parla e ci sollecita costantemente. Compare senza preavviso, interrompe chi parla e cambia continuamente discorso. È l’intruso, quello che ci ha reso praticamente impossibile completare un lavoro, guardare un film o chiacchierare a tavola senza distrazioni. Diciamo le cose come stanno: lo smartphone “ ha reso accettabili comportamenti che pochi anni fa sarebbero stati definiti di grande maleducazione”. Non lo dico io, lo dice Ariela Mortara, docente di Sociologia dei consumi allo Iulm di Milano, e ha ragione.“
La possibilità di condividere esperienze con amici virtuali, piuttosto che con i commensali”, ci ha reso incapaci di trascorrere un intero pasto senza WhatsApp, selfie ed e-mail.

Che sia importante, urgente, necessario o solo per svago, c’è sempre una notifica che porta altrove il nostro focus. Un’interferenza costante nella nostra vita personale e professionale, un biglietto di sola andata per quella che è stata definita l’era della distrazione. Noi genitori ci lamentiamo dell’uso eccessivo della tecnologia nei ragazzi di oggi e siamo preoccupati per le ricadute che questo avrà sulle loro vite. Ma ci siamo guardati allo specchio? Ci siamo chiesti se la mail di turno non può davvero aspettare la fine del piatto di spaghetti?

La verità è che la dipendenza digitale è in assoluto la più trasversale delle dipendenze. Abbiamo il telefono sempre in mano, aspettiamo il semaforo per rispondere ai messaggi e, ancor peggio, non guardiamo più in faccia chi ci parla. Neanche i nostri figli. Parliamo male dei nativi digitali ma i primi ad aver bisogno di una disintossicazione tecnologica siamo noi. E se è vero che i bambini non imparano da quello che diciamo, ma da quello che facciamo, la soluzione è dietro l’angolo. Il mondo in cui viviamo ci travolge di dati e stimoli difficili da gestire per lasciare il giusto spazio alla produttività e alla creatività. Nel suo libro Focus, Goleman parla del ruolo fondamentale che gioca l’attenzione sul modo in cui affrontiamo la vita. Questa risorsa mentale sottile, sfuggente e invisibile ci mette in connessione col mondo, plasmando e definendo la nostra esperienza.

La capacità di fare più cose contemporaneamente è di certo una risorsa e una competenza, ma l’esasperazione di questa “abilità”, ci ha resi incapaci di focalizzarci su una cosa alla volta. L’era della distrazione, infatti, non è altro che l’evoluzione negativa del tanto ammirato concetto di multitasking. Il 47% dei professionisti individua come causa principale delle interminabili riunioni di lavoro, i partecipanti continuamente distratti dai propri cellulari. Ma il dato più preoccupante è che il 62% dei bambini sente di non avere la completa attenzione dei propri genitori quando parla. E indovinate perché? Perché guardano spesso il cellulare! Come al solito, gli americani ci sono arrivati prima di noi e hanno fatto anche di questo un business.

Hanno inventato Pause (Pausa) – www.pauseit.com, una scatola dal design elegante che blocca il segnale wi-fi, i messaggi e le chiamate in entrata. Basta riporvi i cellulari per creare dei momenti senza distrazioni in famiglia, in ufficio, a scuola. Un invito a connettersi solo con le persone che ci stanno accanto, eliminando ogni attività e conversazione virtuale.

Nel video promozionale, le persone hanno un cellulare incollato sul viso mentre mangiano, lavorano e persino quando dormono. “Mi manca giocare insieme per più di cinque minuti, prima che tutti corrano a controllare il telefono”, dice il bambino del video, “e ho paura del futuro perché, se siamo così adesso che gli smartphone esistono solo da dieci anni, che ne sarà di noi tra vent’anni?”
L’idea, semplice ma efficace, ha trovato il suo alter ego anche in Italia: a Torino Eataly, gli ospiti dell’Hamburgeria devono riporre i cellulari in una Black Phone Box. Per chi resiste fino alla fine del pranzo senza cellulare, il dolce è gratis! Adesso però cerchiamo di essere obiettivi; saranno pure idee originali ma si tratta della “scoperta dell’acqua calda”! Davvero abbiamo bisogno di una scatola di design che costa 40 dollari o di andare in un ristorante dove una banda di sconosciuti ci ricorderà che
siamo lì per cenare e parlare con chi ci siede di fronte?

Se per noi è sacra la qualità del tempo che trascorriamo in famiglia, se per noi è importante rendere produttivo il tempo che dedichiamo al lavoro, cosa ci impedisce di lasciare il telefono in una tasca della borsa per un mezz’oretta? Dov’è finita la nostra forza di volontà? Perché non scegliamo di avere il controllo sui mezzi e gli strumenti di cui disponiamo? Non è questo quello che chiediamo ai nostri figli. Bene, dimostriamogli che noi per primi siamo in grado di farne un uso moderato e consapevole. E se la nostra motivazione si è indebolita al punto di non riuscire a lasciare il telefono nella tasca del cappotto neanche per un’ora, allora definiamo per tutti una cornice di tempo da vivere insieme senza schermi e wi-fi. Prendiamo una bella scatola di scarpe, decoriamola come più ci piace e mettiamo in pausa l’intruso!

Non è solo facile ironia. Il tempo trascorso in famiglia e, soprattutto a tavola, ha un valore inestimabile per la costruzione del legame familiare; la connessione emotiva è la miglior protezione che possiamo offrire ai nostri figli, perché sarà grazie a questo legame che riusciremo ad aiutarli a costruire la propria identità. È questo il tipo di educazione che nella vita li proteggerà dall’uso nocivo delle nuove tecnologie e da se stessi. Creare delle sane abitudini digitali ha esattamente la stessa importanza delle sane abitudini alimentari, igieniche o di studio. Nessuno vuole demonizzare la tecnologia. Io non mi ricordo nemmeno come si faceva a trovare un indirizzo prima di Google Maps, ma credo che, come diceva mia nonna, ogni eccesso è difetto.

Insegniamo ai nostri figli il valore del tempo, la possibilità di scegliere in modo consapevole e aiutiamoli a sviluppare uno spirito critico. Facciamolo con il nostro esempio, nel tempo che trascorriamo con loro, essendo lì per loro al 100%. Perché quello che si condivide a tavola, in famiglia, va molto al di là del cibo. E allora, mettiamo in pausa le distrazioni esterne e rivalutiamo il convivio, quello caldo, costruttivo e denso di significato; quello che tiene saldo il legame emozionale e avvicina i membri della famiglia. Quello che, in due parole, “fa famiglia”!

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