lunedì, Novembre 25 2024

Non v’è dubbio che negli ultimi vent’anni si sia registrato in Italia un forte aumento dell’esposizione mediatica degli adolescenti devianti. A ciò hanno contribuito anche alcuni episodi di cronaca, a dir poco inquietanti, che hanno avuto largo spazio sui media. Ma l’interrogativo da porsi, preliminarmente, è se esista uno scarto tra l’immagine mediatica dei fatti e la loro reale dimensione (o consistenza). Al fine di fornire una risposta scientificamente apprezzabile è necessario indagare i contenuti della devianza minorile, rapportando i dati italianial contesto europeo. Ci si propone di verificare, in particolare, due
aspetti:
1) se la devianza minorile in Italia presenti caratteristiche qualitative o quantitative allarmanti rispetto agli altri paesi europei;
2) se la rappresentazione mediatica della devianza minorile in Italia risulti corretta o, invece, amplificata.

Il malessere del benessere

Iniziamo l’indagine, con la precisazione che la tendenza ricorrente è di far rientrare nel concetto di devianza minorile le condotte dei giovani che manifestino una forma di disagio, a prescindere dalla consumazione di reati. Sotto il profilo qualitativo, i dati emersi dalle analisi documentano una novità importante: accanto alla marginalità sociale, che affonda le sue radici nelle svantaggiate condizioni, risulta in crescente aumento la marginalità affettivo-relazionale, che si concentra nei nuclei familiari di estrazione medio/alta (secondo il Dipartimento per la Giustizia Minorile l’utenza italiana si connota, in parte, come espressione del “malessere del benessere”). Permane, inoltre, la devianza dei ragazzi “deprivati”, che risiedono nelle periferie urbane o nelle zone-ghetto dellecittà. C’è poi la situazione dei cosiddetti “minori di mafia”, del tutto taciuta od ignorata, che coinvolge ragazzi non imputabili (al di sotto dei 14 anni) utilizzati come manovalanza dalle organizzazioni criminali.


I paesi del Centro e Nord Europa hanno la situazione peggiore

E’ stato autorevolmente osservato che in Italia non si è registrato un aumento di criminalità minorile e che ciò è rilevabile tanto dai dati ISTAT quanto dalle Relazioni dei Procuratori Generali; l’Italia, infatti, per tasso di criminalità minorile si colloca al penultimo posto tra i vari paesi europei. Di certo sarebbe utile che l’analisi comparata della criminalità minorile in Europa fosse sistematica e costantemente aggiornata ma, com’è stato correttamente segnalato, il raffronto non risulta agevole in ragione delle notevoli differenze tra le fonti di informazione nazionali. Ciò che è evidente, tuttavia, è che l’allarme in materia di delinquenza minorile riguardi le nazioni del Centro e del Nord Europa (nell’ordine Germania, Francia e Inghilterra) e non il nostro paese il quale, fortunatamente, occupa gli ultimi posti dell’imbarazzante classifica.

 

Bullismo e cyberbullismo nello spazio europeo

Per quanto concerne le situazioni di bullismo e cyberbullismo in Italia il fenomeno è in crescita: secondo i dati di Telefono Azzurro nell’ultimo biennio si evidenzia un raddoppio, in termini di percentuale, dell’incidenza dei fenomeni sul totale delle chiamate. Secondo l’indagine “Osservatorio adolescenti” presentata da Telefono Azzurro e DoxaKids nel mese di novembre 2014, condotta su oltre 1500 studenti di scuole italiane di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, il 35% dei ragazzi ammette di aver assistito o di essere stato vittima di episodi di bullismo.

Altre ricerche segnalano che tra le pratiche di cyberbullismo più diffuse spiccano i messaggi violenti o volgari (il c.d. flamming), la denigrazione, il furto di identità, l’esclusione della vittima da un gruppo online di amici. Ma cosa accade se trasferiamo il focus nel contesto europeo? I risultati appaiono, ancora una volta, sorprendenti. Secondo il rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), infatti, nel nostro paese si registrano i più bassi episodi di bullismo fra i ragazzi.

Appena il 5% dei teenager italiani, infatti, denuncia di essere stato vittima di questo tipo di abusi; ad avere dati migliori c’è solo la Svezia dove la percentuale scende al 4%. Al lato opposto della classifica a far registrare le cifre più preoccupanti in tema di violenza fra minori tra gli 11 e i 15 anni c’è l’Austria. Più in generale, la media fra i paesi europei e del Nord America è del 11% (AA.VV., Skills for Social Progress. The Power of Social and Emotional Skills, Organisation for Economic Co-operation and Development, 2015).


La devianza giovanile è “gonfiata” sui media. Con quali effetti?
Esaurita la trattazione degli aspetti quantitativi e qualitativi della devianza minorile italiana, ci attende ora la disamina circa la correttezza o meno della rappresentazione mediatica degli adolescenti devianti. Più di trent’anni fa G. De Leo e M.P. Cuomo, nell’indagare il rapporto tra devianza e media in Italia, isolarono cinque stereotipi di delinquenza minorile nei mass-media. E’ sufficiente scorrere le pagine della quasi totalità dei quotidiani italiani per avere conferma del fatto che, attualmente, poco o nulla sia cambiato. Invero, nonostante l’evoluzione delle forme di devianza, l’esposizione mediatica degli adolescenti che vivono un disagio continua ad essere afflitta da meccanismi stereotipati che alterano sensibilmente il dato reale, amplificandolo a dismisura. L’informazione mediatica si occupa delle patologie dell’età evolutiva solo in presenza dell’emergenza di turno, soggiacendo all’inevitabile peso emotivo dei fatti di cronaca. Si moltiplicano, così, le inchieste giornalistiche che segnalano l’emergere di fenomeni nuovi ed in apparente espansione che vedono protagonisti giovani adolescenti: le azioni delittuose delle baby-gang, gli stupri di gruppo del branco, le indagini sulle baby prostitute, le imprese delle baby cubiste, i lanci di sassi dal cavalcavia, la violenza negli stadi, gli atti di vandalismo, gli episodi infiniti di bullismo, cyberbullismo e arancia scolastica.

Questo, in breve, il quadro che caratterizza le pagine dei quotidiani e le news dei notiziari televisivi. Il tam tam mediatico si spinge fino ad evidenziare, addirittura, una sorta di precocizzazione della devianza sociale. I rimedi propinati fanno leva, quasi sempre, sull’illusione repressiva e sul rafforzamento della risposta punitiva dello Stato, trascurando o sminuendo qualsiasi intervento che si riproponga di rimuovere a monte le cause che scatenano l’aggressività dei giovani.

Se, come abbiamo visto, il dato reale è che la criminalità minorile e le pratiche di bullismo non raggiungono in Italia soglie elevate di allarme sociale, ove tali fenomeni vengano rapportati a ciò che accade negli altri paesi europei, va da sé che la lente di ingrandimento mediatica abbia sconfinato, ingigantendo non poco la dimensione degli accadimenti. Parlare di amplificazione mediatica, a proposito della devianza minorile italiana, non è quindi un fuor d’opera, considerata l’endemica enfatizzazione della gravità dei fatti da cui il sistema di comunicazione risulta affetto. L’immagine sociale dell’adolescente deviante, veicolata dai mezzi di informazione, risulta dunque artefatta. Quali sono le conseguenze di una siffatta anomalia?

E’ indubbio che l’alterazione mediatica abbia prodotto effetti altamente nocivi, e ciò non solo in relazione a probabili fenomeni emulativi posti in essere dagli stessi adolescenti, la cui personalità è in evoluzione, ma anche e soprattutto con riferimento ai contenuti delle politiche criminali minorili, che necessitano di strumenti sociali preventivi e di sanzioni extrapenali piuttosto che del panico morale e dell’allarmismo emotivo indebitamente generati dai media.


(*) Luca Muglia è avvocato, esperto in materia penale minorile. Già
presidente d
ell’Unione Nazionale Camere Minorili

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