domenica, Dicembre 22 2024

L’Article 29 Working Party ha pubblicato lo scorso 26 novembre, le linee guida a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea sul diritto all’oblio su internet. “ Google e il diritto all’oblio. Le parole di Eric Schmidt (CEO): siamo qui per ascoltare”, oppure “ Diritto alla privacy. Google alla ricerca dell’equilibrio” o ancora “ Parte il tour europeo di Google sul diritto all’oblio”.

Sono questi, ma ce ne sarebbero ancora tanti altri, i titoli strillati in prima pagina qualche mese fa dai principali giornali che seguivano la ormai storica sentenza su Google del 13 maggio scorso della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Sentenza che, per chi non lo sapesse, poneva un serio problema all’azienda di Mountain View (ma anche a tutti gli altri motori di ricerca su internet) in quanto stabiliva che è nel pieno diritto dei cittadini europei richiedere ai motori di ricerca online l’eliminazione dalle loro pagine dei risultati di eventuali link che rimandassero a contenuti personali, salvo ipotesi particolari di interesse pubblico.

Ne era scaturito addirittura nello scorso autunno un tour europeo (vedi il nostro articolo), guidato in prima persona da Eric Schmidt, direttore esecutivo di Google, per aprire un confronto e un dibattito con giuristi, esperti del settore e giornalisti sulla questione di base, ormai insanabilmente aperta ma fondamentale per la sopravvivenza stessa dell’azienda statunitense, di come raggiungere un equilibrio tra diritto all’oblio e diritto all’informazione sul web. Il tutto nell’attesa che l’ Article 29 Working Party, l’organismo centrale che raccoglie tutti i Garanti europei (la questione è esclusivamente europea, lo ricordiamo, essendo nata da un ricorso di un cittadino spagnolo alla Corte di giustizia europea) mettesse nero su bianco le linee guida di comportamento per le singole Autorità nazionali chiamate a seguire e a gestire in futuro i singoli ricorsi. A completare il quadro della situazione, si deve aggiungere che il comitato di lavoro citato, in vista della decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha dovuto esaminare e dare pareri su come “Il responsabile dei dati” (nel nostro caso Google ) deve cooperare con l’Autorità nazionale che sovrintende il diritto alla protezione dei dati personali dei cittadini. Tutto questo al servizio del diritto fondamentale riconosciuto dall’articolo 8 del Trattato dell’Unione Europea che stabilisce che “Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano, che tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata (…) e ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica”. Per garantire l’esercizio di tali diritti, il trattato prevedeva il “controllo di un’autorità indipendente “, vale a dire le Agenzie o le Autorità nazionali attualmente esistenti per la protezione dei dati personali dei cittadini.

Veniamo ora agli ultimi sviluppi e vediamo quali sono, a nostro avviso, le novità più rilevanti riportate in queste nuove direttive.

Bisogna innanzitutto ricordare che il diritto alla cancellazione dei propri dati non abbraccia totalmente il web. Non riguarda infatti i motori di ricerca interni alle pagine di un sito e soprattutto gli archivi on line dei quotidiani.

E ancora, per quanto riguarda l’area geografica di applicazione, sebbene la sentenza chiami in causa esclusivamente gli operatori del vecchio continente, ciò non significa che dovranno essere deindicizzati solo i nomi con il dominio europeo (ad esempio: .eu; .it; .fr; ecc.), ma anche tutti i domini generici, come .com, .net, .org e così via discorrendo. Una tale decisione è più che ovvia: a nulla servirebbe cancellare un’informazione dal dominio nazionale in cui il cittadino esegue la su ricerca, se vi si può raggiungere in un altro dominio nazionale di Google, cambiando semplicemente la lingua di ricerca.

Ma come possiamo chiedere la rimozione di un dato che ci riguarda e che non vogliamo sia di pubblico dominio sul web? Lo strumento sicuramente più idoneo, senza costi e che permette di evadere le richieste velocemente è il ricorso ai moduli on line di richiesta che i motori di ricerca devono mettere a disposizione dei naviganti. Ma l’Unione Europea consente ai cittaddini di chiederla nel modo che loro ritengano più adeguato. Ci sembra che dietro a questa “baruffa formale”, ci sia un’interesse delle autorità europee di non risparmiare a Google le fatiche dei processi giudiziari.

Il nodo centrale della questione però a nostro avviso rimane irrisolto. Come trovare infatti il punto di equilibrio tra il diritto alla privacy con la cancellazione dei dati indesiderati da parte dei singoli e il diritto della società a sapere, vale a dire chi e con quali criteri può decidere che cosa è di interesse pubblico in Internet

? Certamente non era competenza del Gruppo di Lavoro pronunciarsi su tale quesito. Per lo meno due cose sono chiare ora: Innanzitutto l’interessato deve trattarsi di una persona fisica. Al nome sono equiparati lo pseudonimo o il nickname, nei casi in cui consentano di risalire agevolmente all’identità della persona. Punto fondamentale inoltre è che la deindicizzazione deve essere favorita in tutti i casi in cui siano coinvolti minori.

Certo, rispetto a prima abbiamo sicuramente maggiore chiarezza. Ma è anche vero che manca ancora qualcosa dal punto di vista della trasparenza delle regole del gioco. Come vengono indicizzate infatti le notizie da parte dei motori di ricerca? Secondo quali criteri e interessi? Molte sono le questioni ancora aperte. Da parte sua la Commissione invita “fortemente” i motori di ricerca a pubblicare i propri criteri di indicizzazione e a rendere disponibile statistiche più dettagliate. Detto senza mezzi termini, Google deve essere più trasparente. Paradossalmente, questo motore di ricerca nella sua causa contro l’autorità nazionale spagnola, che ha ordinato la cancellazione delle informazioni obsolete, ingiuste e di non necessaria pubblicazione di un cittadino, si appella proprio al diritto dei cittadini all’informazione. Google ha desistito dal fare ricorso, prevedendo di perdere la battaglia legale. Ora non vuole perdere nel campo dell’opinione pubblica. Sarebbe molto più dannoso di vista economico.

* Efrén Díaz Díaz: Avvocato spagnolo dello studio legale “Mas y Calvet”, specialista in Diritto Pubblico, Tecnologico e Geospaziale

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