venerdì, Novembre 22 2024

Alcuni anni fa, John Battelle ( The Search: How Google and Its Rivals rewrote the Rules of Business and Transformed Our Culture, 2005) ha definito Internet come il “database dei sogni”. Un altro autore, Marc Prensky ( Teaching Digital Natives: Partnering for Real Learning, 2010) lo ha comparato ad un territorio condiviso da due tipi di “abitanti”: nativi e immigrati digitali.

Oggi, sappiamo che è uno spazio pubblico che non appartiene solo a un determinato tipo di persone ma a tutti, e che permea tutte le istanze e i momenti della vita, non solo degli individui ma anche delle istituzioni.
Questo spazio pubblico è strutturato attorno a certi tipi di “piattaforme”: “i social media” (reti sociali, videogiochi, blog, ecc.), che possono essere definiti come dei “non-luoghi”, cioè degli spazi senza un’identità definita (come ad esempio gli aeroporti, le stazioni ferroviarie, ecc.). La loro efficacia, potenzialità e gli stessi rischi non dipendono solo dalla loro struttura, ma anche da come avviene l’integrazione e la partecipazione degli utenti. Così come il livello di sicurezza di uno stadio di calcio sarà particolarmente elevato se i partecipanti all’evento sono famiglie, allo stesso modo in una rete sociale su Internet dove sono presenti utenti con competenze tecnologiche e stili di vita positivi, si avrà un più basso livello di rischio per gli utenti, indipendentemente dalla loro età.

I social media sono degli strumenti. Perciò non provocano i problemi come il bullismo, la pedofilia, la pornografia, ecc., che hanno la loro cause negli utenti stessi . Si tratta di situazioni che non possono essere risolte solo attraverso sistemi di verifica di età, campagne di sensibilizzazione o altre strategie incentrati sul “processo” e non sugli “inputs” del sistema relazionale che è alla base dell’universo “Internet”.
La “vita virtuale” è diversa dalla “vita reale”, ma entrambe sono parte di un’unica identità (sia personale od organizazzionale). Nella ricerca che abbiamo condotto in Guatemala nel 2012 tra gli studenti universitari, abbiamo potuto confermare che le sfaccettature di “reale” e di “digitale” di una identità individuale hanno gli stessi componenti principali che guidano il modo di essere dell’individuo indipendentemente dallo spazio dove si agisce. La “vera” identità influenza significativamente quella “digitale”. E le scelte virtuali incidono nella vita reale.

Tutto questo lo si è potuto verificare a partire dallo studio 4GY – Adolescenti e Social Media: le 4 generazioni Y, presentato a Madrid e a Torino nel gennaio 2013. Il rapporto di ricerca, che si occupa degli stili di vita degli adolescenti in Spagna e in Italia, è parte della pubblicazione finale del progetto educativo Safe Social Media, un programma internazionale finanziato con il sostegno della Commissione Europea nell’ambito del programma Daphne III, orientato a ridurre l’esposizione, il consumo e l’impatto delle principali tipologie di violenza diffuse attraverso i social media.

Lo studio, effettuato attraverso un sondaggio online e anonimo, è stato condotto nel 2012 su un campione di 6.782 studenti, distribuiti su un totale di 57 scuole. I risultati confermano quanto spiegato nei paragrafi precedenti. Interpellando gli adolescenti direttamente sulla violenza, il bullismo, il sexting e la pornografia sono emersi i seguenti dati: il 55% crede che violenza può essere giustificata se si ha uno scopo, il 25% ha dichiarato che sarebbe disposto a lavorare in aziende che diffondono contenuti violenti, il 27% è interessato a maneggiare armi, il 27% ha insultato amici o compagni, il 17% solitamente consuma prodotti pornografici, il 19% riconosce di aver minacciato amici o conoscenti, il 12% ha firmato una petizione per la legalizzazione delle armi, l’8% ritiene che la violenza sia necessaria, utile e piacevole, solo il 30% sarebbe disposto a sostenere la legislazione che limita contenuti violenti nei media, e il 56% avrebbe firmato un manifesto contro la violenza.

Ma questo non è tutto: il 72% afferma di avere almeno un profilo su un social network e il 42% si collega al proprio profilo per almeno tre ore al giorno, mentre solo il 14% possiede un blog o carica video su Youtube e il 4% ha partecipato a una campagna di Web sociale. In breve: l’attività online è prevalentemente di consumo passivo.

Alle richieste sulle relazioni familiari e sul controllo esercitato sui figli, il 60% dichiara che mai o quasi mai parlano con loro su ciò che accade su Internet, mentre il 42% assicura di non esercitare alcun controllo mentre vedono la TV, giocano ai video-games o sono collegati online, il 48% non riceve consigli sull’utilizzo di piattaforme e il 73% non ha mai giocato con i propri genitori ai video giochi.

Infine, in relazione ai propri gruppi di amici, il 27% sostiene di non avere abbastanza libertà di esprimere le proprie opinioni liberamente, mentre solo l’ 8% considera i propri amici come la fonte preferita su questioni di religione e politica, e il 28% ricorre al proprio gruppo di amici per affrontare importanti questioni in cui non trova l’assistenza da parte dei genitori. Le amicizie nate durante l’adolescenza sono poco “generative” di capitale sociale: solo il 30% pratica uno sport o fa delle escursioni con i propri amici, e il 5% partecipa ad attività di volontariato. Solo il 30% degli intervistati ha un gruppo di amici con cui realizzare progetti specifici.

Una volta analizzati e classificati i risultati, siamo stati in grado di rilevare quattro tipi di generazioni. Descriviamo le più importanti:

Generazione GPS: In questo gruppo troviamo il 39% del campione. Sono giovani che hanno idee chiare su come comportarsi nel mondo virtuale e praticano una interazione digitale performativa.. Si esprimono liberamente e godono della necessaria supervisione di un adulto. L’autostima e i loro valori sono elevati. Il consumo di violenza tramite i media e il rischio del bullismo è basso.

Generazione GTA: Sono il 32% degli intervistati. Sono consumatori frequenti di contenuti violenti attraverso i media. Di solito sono integrati in gruppi grandi di amici ma hanno un concetto utilitaristico dell’amicizia. Dedicano Poco tempo allo studio e hanno una elevata tendenza al bullismo.

In linea di massima allora, quali sono i fattori principali relativi a uno stile di vita online positivo? Un elevato livello di valori, supervisione parentale, autostima, coesione familiare, dialogo e pratica religiosa.

In conclusione: la violenza e gli stili di vita negativi della vita “offline”, la mancanza di capacità relazionali, rappresentano il vero limite allo sviluppo autentico del social network e dei social media in generale.

Solo le persone sufficientemente intelligenti, libero di parlare e di esprimere rispettosamente i propri pensieri (seppur diversi dal mainstream culturale), che intraprendono progetti volti al bene comune, con altri individui o organizzazioni saranno in grado di trasformare i “nuovi spazi digitali” in una comunità positiva e sostenibile a lungo termine.

Reynaldo Rivera è CEO di Intermedia Consulting

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