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Maria d’Alessio (a cura di). Monitorando. Analisi qualitativa della tv per ragazzi. Rai Eri, Roma 2009

“Gli piace tanto Dragon Ball che gli ho dovuto comprare tutto, altrimenti fa capricci. Allora per farlo stare buono le dico che se fa quello che dico io le compro le figurine. Tanto più di tanto non posso fare. L’altro giorno l’ho portato dal parrucchiere e lui appena l’ha visto gli ha detto: “Ti faccio i capelli come Goku?”, “Sì, sì”, lui ha risposto…”.

Ecco il racconto della mamma di Giovanni (4 anni) nell’intervista ad uno dei questionari delle ricerche che compongono il monitoraggio qualitativo del rapporto dei bambini con i media svolto sulla programmazione RaiSat Ragazzi e coordinato dalla professoressa D’Alessio, Ordinario di Psicologia dell’età evolutiva presso l’Università della Sapienza.

L’esempio spiega uno dei tanti risultati di queste ricerche, quello concernente l’identificazione: “la narrazione televisiva ha una peculiarità ben diversa di quella delle favole. I miti di queste personificano e illustrano soprattutto valori e conflitti interiori e offrono, attraverso simboli, modelli di comportamento. I personaggi televisivi sono portatori di stili di vita ed esempi da imitare dove il comportamento è più rilevante dell’interiorità e l’imitazione poco generalizzabile” (p. 106).

Il volume intende dare conto di tutte le ricerche promosse da Rai Sat Ragazzi e condotte nell’arco temporale del 1998 al 2008 per eseguire un monitoraggio qualitativo dei suoi programmi avvalendosi degli utili dell’indagine psicologica dell’evoluzione infantile già esperimentati altrove. Attraverso questionari “somministrati” ai bambini di diverse età, agli insegnanti, ai genitori, e con l’aiuto di esperimenti con i bambini mentre guardano spezzoni di alcuni programmi selezionati, si misurano diversi indici che consentono di capire come quelli fruiscono i programmi a loro rivolti e con quali effetti sulle loro cognizioni e il loro comportamento.

Il libro presenta una breve descrizione dei programmi analizzati con dei disegni e fotografie e un’appendice esauriente di tutte le schede di ricerche (questionari) usate per misurare i diversi “costrutti” o indicatori, che sono anche presentati nel corso della spiegazione per rendere più fruibile al lettore i concetti usati e gli esiti. Presento di seguito in modo sintetico i risultati più rilevanti, a mio avviso, sulla base di ognuno dei “costrutti” o concetti psicologici misurati.

Gradimento, comprensione, ricordo, processo di identificazione e comportamento attentivo

1. Il gradimento, concetto diverso del piacere, la preferenza, l’attrazione oppure anche del divertimento sebbene siano relazionati, dipende dallo sviluppo cognitivo, da dinamiche affettive e motivazionali e anche dalla disponibilità del prodotto. Ad esempio, nonostante i bambini comprendono di più i cartoni perché più semplici e lineari, gradiscono di più programmi con protagonisti umani. Nell’esperimento riportato, Nonno Bruno (umano) raggiunge un punteggio di gradimento maggiore che Teddy Bear (cartone).

2. La comprensione dei programmi da parte dei bambini, indipendentemente dal format, è sempre maggiore di quanto i genitori immaginano. Inoltre le ricerche provano che “se i bambini guardano la televisione in compagnia dei propri genitori, gli effetti saranno diversi rispetto ad una fruizione solitaria sia sul piano percettivo sia cognitivo sia emotivo”. La comprensione aumenta se i genitori fanno spesso dei commenti durante e dopo aver guardato una trasmissione e “la situazione maggiormente produttiva si ottiene quando i genitori dialogano e parlano dei programmi con i figli e li aiutano a inserire il contenuto televisivo tra analogie e contrasti nel loro sistema esistenziale” (p. 73).

3. Il ricordo, ovviamente, dipende dall’età. I bambini dai 6 ai 10 anni sono capaci di ricordare tutti i programmi che li vengono proposti. Per i più piccoli, sono la singolarità e la stranezza delle situazioni vissuta dai personaggi a determinare un ricordo più intenso. Poi, quello che i bambini ricordano non coincide con ciò che preferiscono o con quello in cui si identificano. Così, la conclusione che scaturisce dalle osservazioni empiriche sul ricordo è netta: “A tutte le età, comunque, essere esposti a contenuti non adatti ai bambini è fortemente sconsigliato. Nel caso dei più piccoli la mancanza di comprensione fa sì che contenuti non desiderabili arrivino al bambino senza alcuna possibilità di filtraggio cognitivo, lasciando una traccia indelebile, anche se inconsapevole. Per quanto riguarda i bambini più grandi, il sistema di valori più strutturato agisce come filtro nell’organizzazione della preferenza, ma non su processi cognitivi più automatici, come il ricordo” (p. 104).

4. Se è vero che la fruizione televisiva genera ciò che i psicologi chiamano “relazioni parasociali”, cioè “relazioni apparenti e legami affettivi con un personaggio televisivo”, è altrettanto vero che i bambini hanno una maggiore competenza critica di quanto si possa pensare a priori. A partire dei 3 anni riescono a stabilire un confine fra realtà e fantasia; dai 6 anni in poi sanno che i personaggi dei cartoni non sono essere viventi nonostante siano influenzati emotivamente da ciò che vedono. Ai 9 e 10 anni inferiscono un distacco fra i valori che rappresentano i bambini che attuano nei programmi e loro stessi; vale a dire si accorgono che i bambini protagonisti recitano. Ad ogni modo, “il bambino, a differenza dell’adulto, non empatizza con i personaggi, ma assorbe emozioni e valori” (p. 110).

5. Nell’alternativa televisione divertente o televisione educativa, le ricerche italiane condotte dalla D’Alessio confermano i risultati di altre ricerche internazionali: “la complessità cognitiva del bambino lo porta a ricordare, comprendere e apprezzare contenuti televisivi più articolati rispetto a quelli semplificati o banali” (p. 151). Il film attraggono di più la loro attenzioni dei cartoni animati, nonostante dicano di gradire di più i cartoni. Eppure lo stereotipo culturale che associa cartoni ai bambini è persistente e viene rafforzato dalla produzioni di programmi: il 70% del palinsesto infantile è integrato da cartoni.

Annotazioni metodologiche

Il volume, come gli autori indicano nella presentazione, accorpa tematicamente diverse ricerche svolte in un periodo di 10 anni. Le schede, fornite in corso di opera e in appendice, sono complete ed esaurienti, ma non si specificano le caratteristiche dei soggetti studiati, a parte l’età, in ogni ricerca. Poi, accorpare risultati delle ricerche per argomenti fa sì che le indicazioni metodologiche di ogni studio sbiadiscano, tranne che nel capitolo sul comportamento attentivo, più dettagliato su questo punto. Sicuramente è questa la ragione per cui talvolta si osservano delle contraddizioni tra i risultati, come quelli che riguardano la comprensione. Dalla lettura del volume si ricava l’impressione che queste ricerche replichino ricerche fatte altrove per confermare risultati ottenuti in altri paesi senza un disegno proprio e mirato al pubblico italiano.

Sebbene si offra un riassunto molto utile del contenuto dei programmi, imprescindibile per poter leggere i risultati, si osserva che l’analisi non tiene conto della possibile influenza del tipo di contenuto nella misurazione dei “costrutti”. Non è solo il format o il tipo di personaggi protagonisti (umani, cartoni o pupazzi) ad incidere sulle competenze di comprensione, attenzione e interpretazioni, ma anche il tipo di azione rappresentata e il modo di rappresentarla. Indizi di questa influenza si trovano nella diversità di risultati prima menzionati.

Come ogni opera collettiva, il valore dei capitoli è eterogeneo. La paternità di ognuno non è specificata.

In definitiva, l’opera, ricca di spunti per psicologi, educatori, produttori televisivi, e anche genitori in minor misura, sembra più pensata a legittimare un ruolo di consulenza per esperti psicologi all’interno dell’emittente pubblica che ad informare l’opinione pubblica, specie i genitori sul rapporto televisione-bambini.

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