Familyandmedia al Meeting di Rimini. La famiglia e i nuovi media. Intervista a Luca Gino Castellin, volontario nel Social Media Team
Ragazzi volontari sempre sorridenti e cortesi che accolgono i visitatori, giornalisti che corrono frenetici da un padiglione all’altro della Fiera alla ricerca di una dichiarazione di qualche esponente del mondo politico e imprenditoriale, famiglie curiose che passano da uno stand espositivo all’altro. Ma anche dibattiti, mostre fotografiche, eventi musicali e teatrali, bambini che giocano a calcetto nell’area relax insieme agli animatori.
Insomma tanta cultura e intrattenimento, ma anche tanta attualità con uno sguardo sempre attento ai temi economici e politici, non solo italiani. Questa è la fotografia che Familyandmedia vuole raccontare dell’ edizione 2014 del Meeting di Rimini – manifestazione organizzata dalla fondazione “Meeting per l’amicizia fra i popoli” – svoltasi nella nota località balneare italiana, dal 24 al 30 Agosto. Un evento che ha ormai una storia ed una esperienza trentennale e che propone ogni anno una riflessione e un momento di confronto sui principali temi culturali, religiosi, politici e artistici.
Per capire a fondo il Meeting di Rimini, Familyandmedia, ha intervistato Luca Gino Castellin, docente presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e volontario da tanti anni al Meeting nel Social Media Team.
L’esperienza raccontata dai volontari è la prospettiva migliore per conoscere questa manifestazione, che attira ogni anno in Italia, tanto per dare un’idea, decine di migliaia di visitatori. Con Luca abbiamo volutoapprofondire in particolare un aspetto, non raccontato da televisioni e giornali, relativo al tema del rapporto tra famiglia e nuovi media. Al Meeting infatti abbiamo incontrato molte famiglie che vedevamo interagire e comunicare tra di loro ma anche con tutte le altre realtà presenti (stand espositivi, ospiti, eventi, mostre, media) attraverso i propri cellulari, smartphone, i-pad e computer vari. Un environment digitale a 360 gradi che ci ha fatto capire, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, di quanto la tecnologia sia ormai parte integrante e fondamentale della nostra vita quotidiana in ogni momento. Con Luca, avendo dato il suo contributo da volontario proprio nell’area dei social media, ci è venuto naturale affrontare questo argomento.
Luca, che ruolo hanno avuto i new media e in particolare i social media al Meeting e quale impatto hanno avuto? Le aspettative sono state attese o deluse?
Il Meeting è un evento che ogni anno richiama l’attenzione di tutti i media, televisioni, radio, giornali. Ma negli ultimi anni, soprattutto grazie alle nuove possibilità offerte da internet e dai social media in particolare, abbiamo iniziato a offrire una narrazione diversa.
Una narrazione che punta a far conoscere sempre di più il Meeting al mondo, senza il filtro delle lenti – spesso deformanti – dei tradizionali mezzi di comunicazione. Una narrazione, tanto per capirci, fatta dagli stessi utenti, e non più solo dai giornalisti e dagli addetti ai lavori. Penso alle foto pubblicate su Instagram, ai commenti e ai post su Facebook o ai tweet dei nostri visitatori e dei nostri stessi volontari.
Come organizzazione inoltre, abbiamo lanciato un hashtag ufficiale – #meeting14 – che è stato un vero e proprio evento social. È un lavoro che è iniziato ormai tre anni fa e che ogni edizione si sviluppa sempre più. Come era già avvenuto fin dall’inizio dell’avventura del Social Media Team del Meeting, l’hashtag ufficiale è finito spesso tra i Trend Topics (TT) italiani, che misurano la popolarità di un argomento su Twitter. La nostra pagina Facebook ha avuto migliaia di visualizzazioni quotidiane. Soprattutto, l’interazione con gli utenti di Facebook e Twitter è diventata molto assidua nel corso dei mesi precedenti e in particolare della settimana del Meeting. C’è stato chi chiedeva informazioni, chi raccontava con parole e immagini (Instagram ha ottenuto un ottimo successo!) la propria esperienza tra incontri e mostre, e chi ringraziava per il lavoro svolto (che ha permesso anche a chi non poteva essere presente di vivere con noi il Meeting). Siamo veramente entusiasti di come si è svolto il lavoro e non vediamo l’ora di cimentarci con l’hashtag #meeting15.
Al Meeting erano presenti molte famiglie, anche con i loro ragazzi. Come siete riuscite a coinvolgerle e che ruolo hanno avuto in questo i social media? (Twitter, Facebook, Foursquare, Flickr, App….) Che tipo di scambio/relazione si e’ riusciti a creare?
Abbiamo coinvolto le famiglie e i giovani raccontando anche attraverso il loro stesso contributo che cos’è il Meeting. È stata un’esperienza affascinante di convivenza e condivisione. La creazione di gallerie fotografiche quotidiane su Facebook, la pubblicazione e il repost degli scatti più belli su Instagram, e la piena interazione con i tweet dei volontari e dei visitatori sono state fondamentali in questa prospettiva. Abbiamo anche ideato il contest “Il #meeting14 è”, con cui abbiamo chiesto a tutti di sintetizzare in una parola la loro esperienza.
Secondo la vostra esperienza del Meeting, e’ possibile un uso intelligente e misurato dei new media da parte dei ragazzi (adolescenti in particolare)? Sono necessari filtri, restrizioni o altre misure per evitare i rischi di una dipendenza eccessiva?
Direi di sì: è possibile un utilizzo intelligente e responsabile dei nuovi media da parte dei ragazzi (e, in fondo in fondo, di tutti). Occorre, però, innanzitutto chiarire che cosa intendiamo per social media. Seguendo la suggestione di padre Antonio Spadaro, ritengo che i social media non siano un semplice “strumento”, magari neutro e quindi ontologicamente de-responsabilizzante, ma un vero e proprio “ambiente”, nel quale ciascuna persona può aumentare i confini della propria capacità di comunicare un’esperienza in atto. Può sembrare una distinzione un po’ barocca, ma non lo è affatto. Se vengono considerati uno “strumento”, i social media possono condurre a una sorta di ‘schizofrenia digitale’, che separa la vita reale da quella social favorendo – per esempio – fenomeni di bullismo (magari, mascherati dietro identica fasulle). In un “ambiente”, invece, ciascuno può (e, aggiungerei, deve) essere interamente se stesso, e raccontare la propria esperienza di vita reale a tutti. La via da seguire per l’utilizzo dei social non è quindi né la loro demonizzazione, né la loro santificazione.
Per quanto riguarda il problema della dipendenza eccessiva, credo che esistano dei rischi e vadano continuamente monitorati (soprattutto negli adolescenti), per evitare che l'”ambiente” dei social si possa trasformare nell’unica realtà a cui far riferimento. Ciò, ovviamente, costituisce un feticcio dell’idea di “ambiente” a cui prima mi riferivo.
La sintassi dei social media sta cambiando – oltre che le nostre abitudini sociali e comportamentali – anche il nostro linguaggio quotidiano. Che riscontro avete dai vostri ragazzi del Meeting (ad esempio i volontari)? Si tratta di una evoluzione o una involuzione del linguaggio?
La sintassi dei social è un’arma a doppio taglio. Da un lato, rappresenta certamente un’involuzione del linguaggio. Un’involuzione, tuttavia, che peggiora un fenomeno già in atto da tempo. In tal senso, ne costituisce un sintomo più che una causa. Dall’altro lato, invece, può costituire un’opportunità di esprimere in maniera essenziale e diretta ciò che avviene nella nostra vita. Mi lasci aggiungere che si può utilizzare un linguaggio non involuto anche nell’utilizzo dei social. A testimoniare ciò c’è anche la nostra esperienza di narrazione del Meeting. In 140 caratteri si possono dire tante cose e raccontare bene quello che avviene intorno a noi.
In generale, secondo la vostra esperienza del Meeting, come e in che modo si può oggi comunicare e parlare oggi della famiglia? In che misura e con quali finalità se ne può parlare?
Della famiglia si può e si deve parlare, raccontando innanzitutto la sua dimensione centrale per l’intera società. È il nucleo fondamentale di ogni autentica esperienza di vita sociale. Spesso, tuttavia, la famiglia ottiene l’attenzione dei mezzi di comunicazione soltanto nei casi di cronaca nera. È, ovviamente, un travisamento della realtà. Al Meeting la famiglia rappresenta l’ambito privilegiato dell’esperienza. Non di rado genitori e figli seguono gli incontri e visitano insieme le mostre, ma lavorano anche insieme come volontari (fianco a fianco, o in settori differenti). Il racconto della quotidianità – che, alcuni potrebbero definire erroneamente banale – di ogni famiglia è la modalità con cui aiutare a ridarle quella centralità che ormai assume soltanto in una dimensione tragica.