giovedì, Novembre 7 2024

La leggenda di Bagger Vance
è un film del 2000 diretto da Robert Redford; vuole essere una metafora della vita. Spiega Redford in un’intervista: “Nessuno sa meglio di un golfista che in questo sport sono condensate tutte le morali della vita, ma ‘La leggenda di Bagger Vance’ non è solo una storia legata al mondo del golf. Riguarda una persona che non riesce più a colpire la pallina come sapeva fare – con il suo stile unico – e deve ritrovare quel modo di farlo.

In questo senso, il film ha una morale universale, che supera lo sport in questione, perché tutti noi perdiamo il nostro colpo in un modo o nell’altro ad un certo punto della nostra vita. Tutti noi siamo messi alla prova dalle avversità… e ho il sospetto che tutti noi abbiamo talvolta desiderato l’esistenza di uno come Bagger Vance che ci fosse d’aiuto”.

Vorrei proporre questa storia per due motivi: il primo è che nella persona di Bagger Vance si trovano un atteggiamento e dei comportamenti educativi interessanti da esplorare; il secondo è la bella notizia che questo atteggiamento e questi comportamenti non sono solo leggenda; li possiamo ritrovare declinati, formalizzati e vissuti nelle competenze di una figura professionale attuale, il coach, che utilizza degli strumenti di incredibile efficacia se applicati in un percorso educativo.

Ecco brevemente la storia: Junho (Matt Damon), straordinario giocatore di golf, tornato a casa logorato dall’esperienza della guerra, è irriconoscibile. Non partecipa più alla vita cittadina, trascura le precedenti relazioni, non lavora, né si dedica al suo antico sport. Chiamato a una gara per riscattare il suo paese dalla miseria, tenta di recuperare la sua abilità di golfista ma senza successo; non è più in grado di colpire la pallina, “ha perso il suo swing”. Proprio mentre tenta senza convinzione di ritrovare ciò che ha perso, compare nella sua vita Bagger Vance (Will Smith), personaggio misterioso e scanzonato al contempo che in poche battute ne conquista la fiducia e diventa suo caddy. Con l’aiuto del caddy Junho ritroverà il suo swing, la sua identità di golfista, vincerà la gara tornando rinnovato alla sua vita. Dopo lo shock della guerra, aveva infatti bisogno di essere rieducato all’esistenza, e Bagger Vance è un educatore nel senso originario del termine: colui che aiuta l’altro a trarre da sé ciò che egli ha già in sè e che solo lui può tirare fuori (da e-ducere tirar fuori da).

Il ruolo di Bagger Vance

Quali sono i comportamenti di Bagger Vance che favoriscono questa e-ducazione? Vediamo che accompagna Junho nel campo, cammina con lui, lo aiuta a guardare la realtà: la realtà del campo e di chi lo circonda. Lo sprona a osservare gli altri, coloro che riescono a tirare, a mettersi in contatto con la realtà dal di dentro, guardarla per quello che è e non in modo veloce o superficiale, e guardare se stesso in essa. Lo mette di fronte alle sue scelte, lo proietta nelle possibili conseguenze delle sue azioni superando i blocchi delle paure o dei fantasmi del passato. Bagger Vance non gli spiega come deve fare. Gli suggerisce chi e cosa guardare ma non lo orienta in una direzione precisa. In un momento chiave del gioco, quando Junho gli chiede quale mazza usare, non glielo dice; lascia decidere a lui.

C’è un atteggiamento essenziale, intrinseco a questi comportamenti, ed è la totale fiducia nel fatto che Junho possa vincere. Junho è bloccato rispetto alle sue capacità, ma il blocco è nella volontà; non crede più in se stesso; ed ecco Bagger Vance che invece crede spaventosamente in lui; ci crede così tanto che non gli dice mai come dovrebbe colpire la pallina, come perfezionare i suoi tiri, sarebbe infatti sempre dirgli come lo farebbe lui. Bagger Vance sa che Junho ha uno stile unico, personale, ed è questo stile, questo swing che va trovato. Sarebbe inutile applicarne altri; deve tirar fuori il suo e solo lui può farlo. Non ha paura che Junho non ce la faccia e non teme i suoi errori; è convinto che, nel momento in cui deciderà di cercare seriamente il suo swing, lo troverà e questo gli permetterà di superare qualunque errore possa aver commesso. Si fida di lui e glielo dimostra nei suoi comportamenti. E Junho ci riesce.

Il ruolo del coach

Ed eccoci al secondo motivo per cui propongo questa storia: Bagger Vance non è solo leggenda. Bagger Vance richiama fortemente la figura professionale del coach e di alcune sue competenze. Un coach è infatti, colui che aiuta un altro a raggiungere i suoi obiettivi. Questa professione nasce in ambito sportivo ma si amplia poi a qualunque ambito esistenziale in cui si manifesta l’esigenza di un maggiore sviluppo o potenziamento personale. Una relazione di coaching consiste in una serie di incontri in dialogo in cui il coach pone domande al coachee circa il suo volere, il suo mondo valoriale e di significati per aiutarlo a capire ciò che davvero vuole, per entrare nei propri desideri senza paura, capire quali sono i possibili ostacoli, rischi, e conseguenze delle proprie scelte. Il coach è quindi una sorta di sonda del desiderio e un generatore di consapevolezza. Il suo ruolo è precisamente quello di aiutare il coachee a trarre da sé il suo autentico desiderio, quel swing spesso imbrigliato o mascherato che gli permetterà di ritrovare l’energia per fare un passo difficile, affrontare un cambiamento, modificare un aspetto della sua vita. I grandi maestri del coaching, hanno molto da insegnare a genitori ed educatori in merito alla forza dell’essere umano e alle sue risorse intime e profonde, alle paure nascoste e ai blocchi intimidatori che spesso, già in tenera età, ostacolano i ragazzi e li rendono insicuri e timorosi. Ogni coach professionista sa che la prima competenza da mettere in atto perché una persona possa raggiungere il suo obiettivo, è la comunicazione della sua totale fiducia verso di lei. Si tratta della fiducia nel fatto che la persona umana ha risorse e capacità notevolissime rispetto alla propria realizzazione e ai modi di ottenerla; e che non la ottiene mai da sola ma sempre in una relazione “felice” con una persona che crede in lei e glielo manifesta. Una delle manifestazioni forse più evidenti di questa fiducia è lo strumento utilizzato nel coaching delle domande “potenti”, ossia quelle domande che aprono ampi spazi di coscienza. Si tratta di un modo di domandare aperto, non orientato a una risposta precisa e che non entra nel merito dei contenuti: Cosa pensi di…? Qual è il tuo desiderio più forte rispetto a…? In quali modi potresti agire se…? Cosa ti aspetti che succeda quando…? Come ti comporteresti se…? In poche parole: il coach non dice cosa fare, non offre soluzioni; ascolta attentamente, lascia spazio ai silenzi e al fluire del pensiero accompagnandolo così a esplorare il proprio mondo e a trovare in sé le risposte. C’è poi il momento dell’accompagnamento all’azione vera e propria, e allora le domande saranno: Cosa farai quando…? Quale sarà il primo passo per…? Entro quando pensi di definire…? Tutte domande che aiutano a proiettarsi nella realtà, a visualizzare il momento dell’azione, a porre in atto il desiderio. L’arte della domanda è antica; Socrate ne è maestro. La maieutica socratica però è rivolta al pensiero; il coaching è una maieutica del desiderio. E attraverso il rivelarsi del desiderio, la persona svela sè a se stessa; e mettendo in atto il desiderio diventa se stessa. Il coach non si limita a domandare: apre orizzonti, offre le sue idee con feedback, ma il suo stile è sempre quello di Bagger Vance: rimette sempre in mano la pallina al suo coachee. Il coach è quindi una presenza che accompagna nel percorso, la sua neutralità non è indifferenza, ma è una presenza che lascia emergere sempre il pensiero e la volontà del coachee.

In un percorso educativo completo sono necessari molti momenti di confronto, di insegnamento, di trasmissione di esperienze e di consigli. L’approccio del coaching è solo uno degli aspetti del percorso. Tuttavia lo stile educativo del coach, che privilegia l’apertura e l’accoglienza alla volontà dell’altro, comunica fiducia ed è la chiave per educare in modo da rafforzare l’identità della persona promuovendone la libertà e la responsabilità. Mettere in atto tale approccio non è sempre facile, e il mondo del coaching può fornire molti strumenti a chi lo voglia approfondire. (*) Federica Bergamino insegna Antropologia filosofica. E’ coach professionista

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