EDUCAZIONE E MEDIA: Intervista con Francesco Belletti, Presidente del Forum delle Associazioni Familiari
“Ai genitori spetta il coraggio di conoscere ed entrare nel mondo dei media. Nessuna alternativa, i figli ci sono già”
—La famiglia in crisi o la famiglia come opportunità?
La famiglia è sicuramente sempre un’opportunità e una risorsa. Fare famiglia è talmente corrispondente con il desiderio dell’umano di costruire un’appartenenza profonda, un luogo nel quale si ha la certezza di poter amare ed essere, da costituire il luogo d’eccellenza per lo sviluppo delle qualità fondamentali dell’essere umano, e anche della convivenza sociale. La famiglia, dunque, non è una sovrastruttura, ma è la culla dell’umano. Abbiamo bisogno di credere nella famiglia, che è quello che Giovanni Paolo II ha più volte chiesto durante il suo pontificato, anche se oggi nelle famiglie sono presenti molte fragilità. La famiglia rimane comunque il luogo buono dove far crescere ed educare uomini e donne.
—Costruire una famiglia non è da super-eroi?
Oggi, in Italia, costruire una famiglia è indubbiamente un’impresa eroica, perché costruire una nuova famiglia somma due situazioni di partenza già difficili, essere giovani e fare famiglia. Non è facile, in Italia, essere giovani (il nostro sistema formativo, lavorativo e di welfare penalizza pesantemente i giovani italiani). In più, la famiglia non è certo un’opzione promossa dal contesto sociale. Due giovani che dicono oggi: “ci sposiamo tra 6 mesi!”, si sentono dire: “ma chi ti lo fa fare?”
—E allora…?
Anni fa non era così: bisogna riscoprire la sfida fresca e gioiosa di fare un progetto insieme e per sempre. Oggi fare famiglia non è facile perché è un’impresa vissuta in un clima cinico che lascia soli i coniugi. Si tratta sì di un eroismo, ma di un eroismo che deve considerare se stesso e deve riuscire a presentarsi come “normale” e allo stesso tempo accattivante, un eroismo per uomini e donne veri.
—Spesso i genitori vedono che una parte del loro ruolo educativo è stato preso dai media. Possono riaverlo?
I genitori sono in grande difficoltà sulla responsabilità educativa in quanto tale, con o senza i media. La difficoltà risiede nel fatto stesso di essere genitori: dire sì e no, avere autorità ed esercitarla. In genere, il contesto odierno non facilità lo sviluppo dell’autorità genitoriale, perché nega il concetto di “rispetto dell’autorità”. D’altronde, bisogna sempre ricordare che amare il destino dei figli non significa lasciarli soli, ma piuttosto significa entrare in sintonia con loro, guidare e far crescere i loro talenti fino a quando saranno autonomi. L’autorevolezza, dunque, è uno dei codici fondamentali dell’educazione e come tale deve essere recuperata.
—Autorevolezza come educazione?
Dico autorevolezza, e non autoritarismo, perché i due termini sono ovviamente ben differenti; tuttavia bisogna avere ben chiaro che il ruolo dei genitori è radicalmente diverso rispetto a quello dei figli. L’essere genitori comporta l’esercizio di una responsabilità asimmetrica, non democratica, che genera dunque uno squilibrio di potere. Si tratta di esercitare una precisa e diretta responsabilità nei confronti dei propri figli, che non sono altro se non il frutto dell’amore coniugale.
—E possibile combinare amore e autorità?
Si tratta di amare il proprio figlio non soltanto perché è “altro da te”, ma di farlo diventare autonomo, educarlo nel rispetto della verità e nella capacità di incontrare e conoscere la realtà come “altro da sé”, come dono. Amare, quindi, implica incidere positivamente sullo sviluppo dei figli, contrattando costantemente con la loro libertà. Esistono in questo contesto tre parole chiave collegate tra loro: autorità, autorevolezza e responsabilità. L’autorità implica esercitare un giudizio sul bene e il male, evitando l’autoritarismo o l’estremo contrario, cioè la rinuncia alla responsabilità del giudizio, in favore di un “laissez faire” solo in apparenza politicamente corretto, che si risolve di fatto in una resa dell’adulto di fronte alla responsabilità educativa.
—Che idea di famiglia viene presentata nell’opinione pubblica?
Nell’opinione pubblica è presentata una “non idea”, si tratta in effetti di uno dei temi più difficili da discutere. L’idea di famiglia è lasciata all’autodeterminazione degli individui, giacché qualunque modo di vivere insieme è diventato famiglia. Invece, la famiglia come buona notizia, e non solo cristiana, è l’incontro amorevole e pacificato dell’uomo e della donna, aperto alla vita, che ne assume la responsabilità, e quindi educa, e così facendo costruisce la società.
—Quali sarebbero gli elementi chiave del concetto famiglia?
Ci sono quattro elementi dell’identità antropologica della famiglia: la relazione/alleanza tra la differenza sessuale (la grande idea, nella Genesi, che l’immagine di Dio risieda proprio: “uomo e donna li creò, a sua immagine e somiglianza”), la capacità generativa, la responsabilità educativa e la responsabilità sociale. Dal punto di vista ecclesiale si potrebbe poi aggiungere la responsabilità di costruire la Chiesa.
— Quali sono i profondi bisogni della famiglia che non sono riportati dai media in modo fedele?
Il primo grande bisogno della famiglia, non svelato dai media, è il bisogno di verità e amore nei rapporti interni alla famiglia stessa. Oggi la famiglia deve affannosamente rincorrere ritmi di vita imposti a tutti i suoi membri da una società piena di attività e impegni, ed il rischio è che in questa congestione di impegni venga meno il cuore. La cosa più importante è essere felici in casa propria, con le persone che ciascuno di noi ha scelto come compagni di vita. Essere famiglia non è di per sé garanzia di felicità. La felicità all’interno della famiglia è un desiderio e un compito che ognuno di noi costruisce durante tutta la vita, giorno per giorno.
Il secondo grande bisogno che fa fatica ad emergere è il bisogno di condivisione e di apertura che ogni famiglia possiede. La famiglia che chiude i propri confini nel proprio appartamento è una famiglia che poi vive male; l’apertura alle altre famiglie è al contrario un mandato sociale insito nello stesso “fare famiglia”. Spesso alla fine del corso di preparazione al matrimonio la domanda reale sulla coppia è sulla possibilità, per la giovane coppia, di riuscire a trovare compagnia, accompagnamento e amicizia nel luogo in cui hanno deciso di andare a vivere.
—Ci sono altri bisogni?
Un terzo bisogno della famiglia riguarda il discorso pubblico sulla famiglia. Se vivi in una società dove la famiglia viene raccontata come un nido di vipere, un luogo di violenza o una serie di rapporti che imprigionano, allora è difficile avere un modello positivo. È dunque opportuno pensare a come presentare il discorso famiglia in modo positivo, come una “buona notizia”. Ci sono molte famiglie felici, seppure con difficoltà e limitazioni, ma felici davvero, che non vengono proposte nei media e nelle serie televisive. Anche solo nel racconto di come i giovani d’oggi cercano di costruire una famiglia c’è già una positività, una rappresentazione di quell’ideale che si desidera realizzare.
—È così difficile educare in un contesto mediatico?
Oggi più di ieri la famiglia non educa da sola, anche se in fondo sempre è stato così. Nel momento attuale il contesto sociale è particolarmente incisivo, molto potente, e la distanza tra generazioni viene definita fortemente dal rapporto con il mondo dei media. I genitori di oggi sono in prima linea su questo cambiamento e si trovano in un passaggio critico, soprattutto per la potenza dei nuovi media, che portano le persone a vivere in un mondo del tutto virtuale. I genitori devono sapere che tutti i media sono un’opportunità, ma anche un rischio. A loro spetta il coraggio di conoscere ed entrare in questo mondo. Non ci sono alternative: i figli ci sono già.
—Qualche consiglio pratico?
Forse la chiave è evitare l’isolamento dei propri figli davanti al computer o alla consolle dei videogame e trovare anche lì uno spazio educativo adatto ad ogni circostanza: per esempio, decidere che in casa c’è un solo computer che sta in una sala comune (un po’ come si faceva una volta per la TV), dove si condivide, dove si accompagna e si cresce insieme, aiuta ad esercitare la libertà.
In altre parole occorre cercare spazi dove sia possibile educare nell’uso responsabile dei media. Una lingua si impara in compagnia, e molti giovani stanno ancora imparando l’alfabeto intellettuale nel campo virtuale: anche se conoscono come funzionano i programmi dal punto di vista tecnico non padroneggiano, invece, le sfumature di una lingua fatta di atteggiamenti etici, di scelte relazionali, di valori che incidono in loro profondamente. Sono immersi in un linguaggio mediatico che li mette improvvisamente in un contesto culturale globale, dove concetti come amicizia, lavoro, amore, famiglia, Dio, hanno subito molte pressioni ideologiche, e questo genera un disorientamento valoriale molto difficile da contrastare.
Occorre quindi che le nostre famiglie divengano luoghi di esperienza e di testimonianza della bellezza dello stare insieme, dei legami familiari, dell’alleanza di coppia e di famiglia; solo così i nostri giovani sapranno governare i nuovi media e le nuove relazioni ad essi collegate, e non essere invece governati da chi li possiede, come troppo spesso succede.