domenica, Novembre 24 2024

“Ho dovuto cedere, perché tutti i suoi compagni lo avevano già”. Molte volte, i genitori giustificano così le loro decisioni in materia di educazione digitale dei figli.

Questo vale per il cellulare, i videogiochi, il tablet, l’uso della tv, l’ingresso sui social e così via.

Esiste un’alternativa possibile al semplice adeguarsi in maniera piatta ed acritica alle scelte educative degli altri? C’è un modo per “resistere” alle pressioni dei figli, laddove si pensa che non sia ancora arrivato il momento per una determinata esperienza?

Patti digitali: cosa sono?

In Italia esiste il sito www.pattidigitali.it, che propone alle famiglie di stipulare un patto – all’interno di una classe, di un gruppo all’oratorio, di una società sportiva e in altri contesti simili – per impegnarsi a seguire un percorso condiviso in molte scelte importanti legate al rapporto tra i bambini o i preadolescenti e la tecnologia.

La presenza sempre più massiccia degli strumenti digitali pone interrogativi non sempre facili da risolvere, ecco perché essere coesi si rivela quanto mai necessario.

L’iniziativa è stata promossa dall’Università Bicocca, con le associazioni Aiart Milano, MEC e Sloworking, e offre un aiuto concreto ai genitori nell’educazione al digitale.

A spingere i promotori, la consapevolezza che la sfida del digitale si possa vincere soltanto insieme, secondo il modello di un’educazione di comunità.

Cosa si stabilisce con un patto digitale?

La professoressa Stefania Garassini, insegnante di Editoria Multimediale, Content Management e Digital Journalism all’Università Cattolica di Milano, spiega come funziona un patto digitale.

Stilando i tre punti principali di questo “contratto”, il primo riguarda l’età in cui introdurre i vari dispositivi (con la proposta di attendere fino alla fine della seconda media per la consegna di uno smartphone personale), il secondo punta sull’impegno di genitori e figli a seguire percorsi di formazione sull’uso delle tecnologie, con incontri di approfondimento e scambi di esperienze, che mirino soprattutto a favorire un utilizzo condiviso e creativo delle tecnologie in famiglia. Il terzo punto tocca l’aspetto delle regole: ai gruppi che vorranno sottoscrivere un patto viene chiesto di mantenere lo smartphone trasparente ai genitori fino ai 14 anni, di stabilire luoghi e orari per l’utilizzo (categoricamente non a tavola e non a letto), e di rispettare sempre le limitazioni di età per app, videogiochi e social media.

Dispositivi digitali e creatività

Un aspetto molto importante, continua la Garassini (curatrice, tra l’altro, di Clicco quindi educo. Genitori e figli nell’era dei social network, Ets, 2018), è abituare i bambini a vedere questi strumenti come un mezzo per esprimere la propria creatività e non soltanto per ricevere passivamente contenuti prodotti da altri.

Si può cominciare da attività molto semplici, come mettere in ordine le foto delle vacanze o realizzare un video insieme su un argomento di interesse dei ragazzi. Lo scopo è aiutarli ad utilizzare gli strumenti in modo attivo, accendendo la fantasia, invece di subire passivamente solo contenuti prodotti da altri.

La creatività, poi, è necessaria anche per sottoscrivere un patto digitale: deve infatti essere conforme alle necessità del proprio gruppo. Si potranno allora aggiungere altri obiettivi, oltre a quelli standard, legati al proprio contesto specifico.

Per prendere spunto, ad ogni modo, sul sito è reperibile l’elenco dei patti già sottoscritti (a Milano sono operativi in un paio di scuole, mentre il comune di Vimercate e scuole e realtà territoriali in Friuli Venezia Giulia hanno promosso iniziative analoghe) e sono disponibili tutte le informazioni per sottoscrivere un patto.

In quali paesi esistono i patti digitali?

L’iniziativa più simile a quella adottata dalla rete dei Patti Digitali è Waituntileighth (“aspetta fino all’ottavo grado”, che nell’istruzione americana corrisponde alla Terza Media), che propone un patto da sottoscrivere tra genitori per impegnarsi ad aspettare a consegnare uno smartphone al proprio figlio. Sul sito http://www.waituntil8th.org vengono offerte anche risorse utili per genitori, come un elenco di alternative possibili allo smartphone nell’età di transizione della scuola secondaria di primo grado. Negli Stati Uniti sono molte le iniziative di genitori che propongono percorsi di informazione e azione per un miglior uso della tecnologia in famiglia. Una delle realtà più interessanti è FOSI (Family Online Safety Institute), attivo dal 2007 nelle attività di pressione sui legislatori e nell’informazione e supporto ai genitori nell’educazione mediale.

Si tratta di piccoli passi, ma forse siamo solo all’inizio. Se vogliamo convivere a lungo con la tecnologia sarà sempre più necessario domarla.

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