sabato, Novembre 23 2024

Tutti noi, quando veniamo assistiti da un medico, ci aspettiamo professionalità e competenza. È normale, gli affidiamo qualcosa di molto prezioso: la nostra salute.

E un bravo dottore, credo saremo tutti d’accordo, è quello che riconosce una malattia e mette in atto la cura più adatta per contrastarla. Ma se vi dicessi che il buon medico, oggi, è anche colui che riconosce tempestivamente una malattia per poter così sopprimere il prima possibile colui che ne è affett? Cosa pensereste? Forse che sono matta. E invece, purtroppo, sto solo descrivendo la realtà.

Mi riferisco alle diagnosi prenatali.

Essendo mamma so cosa accade dentro agli ambulatori quando aspetti un figlio. All’inizio di tutte le mie gravidanze mi è stato proposto di fare la diagnosi prenatale. Ogni volta ho risposto serenamente che poteva interessarmi solo nella misura in cui non ci fossero stati rischi per il piccolo e se si prevedeva una qualche possibilità di cura già in grembo.

Poi, ho specificato che l’avrei fatto, eventualmente, solo per preparami meglio ad accogliere una vita con delle esigenze speciali.

Ebbene, mi è sempre stato risposto che, per il tipo di malformazioni che si riscontrano con quegli esami non ci sono cure e che “se una donna pensa di tenere il bambino in ogni caso, non ha senso spendere centinaia di euro” (diciamolo: quindi sfruttando risorse della sanità che potrebbero essere usate da altre donne, con altre intenzioni…).

Ma soprattutto, se si è disposti ad accogliere un figlio in ogni caso, non ha senso rischiare di perdere il bambino per vedere se è sano (perché sì, fino a due anni fa, gli esami erano invasivi e in casi rarissimi potevano procurare aborti!).

Insomma, data la mia posizione a favore della vita a 360°, mi è sempre stata sconsigliata.

La diagnosi prenatale “serve” se uno vuole un figlio sano, ad ogni costo.

Tuttavia, la nostra cultura ci sta abituando a un rispetto sempre più parziale per la vita e moltissime coppie scelgono di sottoporsi a questi esami. (“Sì, costano molto… ma ti fanno capire tutto, pure se è down. Vale la pena spenderceli…”, parole dell’operaio che è venuto a lavorare in casa mia, qualche mese fa, in attesa del secondo figlio).

Sì, vale la pena, secondo quella mentalità, spendere 600, 800, 1200 euro per assicurarsi un figlio sano e, in caso contrario, rifiutarlo.

Come se poi la salute e la malattia, la vita e la morte fossero cose che appartengono al nostro potere, come se noi esseri umani non fossimo fragili e non potessimo ammalarci o morire in qualsiasi altro momento, pur nascendo sani…

Quando l’eugenetica sembra essere quasi scontata.

In questo articolo dell’ANSA, potete leggere lo sdegno nei confronti di un ginecologo che non è stato capace di riconoscere le malformazioni di un bimbo nel grembo materno.

Dietro a queste poche righe sembra di intravedere un frame molto diffuso e condiviso, un modo di inquadrare il problema, che lascia intendere proprio questo: il medico ha il dovere di scorgere determinati problemi, non tanto perché si possa fare qualcosa per il piccolo, ma perché è scontato, in questi casi, o almeno altamente consigliato l’aborto.

Probabilmente, il dottore, con gli studi che aveva alle spalle e gli strumenti che oggi ci sono a disposizione, poteva, anzi, forse doveva individuare i problemi del piccolo. Non è mia intenzione assolverlo sul piano medico, se davvero si è
trattato di incompetenza.

Ma dall’articolo si evince che la colpa, se questo bambino è nato così, è solo sua: d’altronde, chi accetta più l’imperfezione?

E allora, si capisce perché tanto scalpore, anche se non è stato lui a causare il danno, anche se non si sarebbe potuti intervenire per aiutare il bambino.
Si capisce perché tanta rabbia verso di lui, di fronte a un evento ineluttabile.

Perché il genitore ha diritto a rifiutare un figlio non sano.

Il vero motivo di scandalo – talmente scontato, che non merita neppure di essere specificato – è che i genitori – sapendolo prima – avrebbero potuto ricorrere all’“aborto terapeutico” come tutti gli altri genitori nel loro paese (che poi, non capisco ancora perché si definisca così, visto che una terapia cura, mentre l’aborto no, mai…).

Senza dubbio, come si legge nell’articolo, per un genitore è un duro colpo scoprire una realtà simile solo al momento del parto. Ed è per questo che mi sono sempre resa disponibile a conoscere la verità prima della nascita (se ciò non avrebbe compresso la vita del piccolo), ma la cosa non interessa al sistema sanitario che punta alla “praticità”.

Insomma, i genitori dovevano saperlo prima non per prepararsi (visto che questo non conta), ma per decidere cosa fare di quella vita.

Se lo sdegno più grande lo crea questa cultura di morte

Ciò che colpisce, però (o almeno che colpisce me) è che non si dice nulla in merito alle cure. Non si dice che, pur scoprendolo prima, non c’era nulla da fare! Che quel bambino sarebbe stato così, con o senza la corretta diagnosi fatta mesi prima. Non sembra interessare, questo. Si deve solo trovare un colpevole, perché quel bambino non doveva esserci.

Non sembra essere contemplata l’idea che la vita sia vita, e può essere accolta, sempre, in ogni caso.

No, quel bambino è solo un problema: perché una volta nato, non si può più “sopprimere”.

E vorreste forse acquistare una scarpa sgualcita? Una bici con i pedali rotti, un giubbotto senza bottoni? No, ovviamente. Allora perché dovreste essere costretti – dall’inefficienza di un medico – ad accettare un bambino non sano?

Denunciare lui è un po’ come dire: “Ho diritto a un figlio sano e tu, dottore, non mi hai risparmiato questa truffa”. Come se il medico fosse un venditore, che deve assicurare un prodotto in ottimo stato.

Questo medico ha suscitato sdegno in molti. Ma, sono sincera, a me lo sdegno viene di più se penso che nessuno ha speso una parola di compassione per questa fragile vita, segnata dal mistero del male, che non si lascia intendere come quel bambino, indipendentemente da come si presenta, è un miracolo, un prodigio… un essere umano!

Un essere umano che come ognuno di noi – fino al suo ultimo respiro – merita rispetto, cura.

Cosa possiamo imparare, invece?

Forse, errori medici come questi servono ad aprirci gli occhi, a scuoterci, a ricordarci che la vita non è nelle nostre mani.

Quel bambino, nascendo così, ci ricorda che lui era lo stesso: prima di nascere e dopo essere nato.

Ci ricorda che non basta spendere 600, 800, 1200 per assicurarci una vita senza intoppi. Perché siamo fragili, fallibili. E solo quando impareremo ad amare l’altro nella sua fragilità – invece di volerla eliminare ad ogni costo – solo allora saremo veramente forti, solo allora ci saremo “assicurati” l’unica cosa che conta davvero.

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