venerdì, Novembre 22 2024

Abby Johnson abbraccia la causa di Planned Parenthood (istituzione “sanitaria” statunitense in cui si praticano aborti, coinvolta negli ultimi anni in scandali di vendita di tessuti embrionali di feti abortiti), quando è molto giovane, iniziando a prestare servizio dapprima come volontaria e assumendo, in seguito, addirittura il ruolo di direttrice. Dopo otto anni dal suo ingresso, però, decide di cambiare completamente rotta, schierandosi nel fronte pro-life.

La sua storia – raccontata nel libro unPlanned, scritto dalla stessa Abby Johnson con l’aiuto di Cindy Lambert (genere: biografia, anno della prima pubblicazione: 2010, Casa Editrice: “Tyndale Momentum”; tradotto e pubblicato nel 2011 in spagnolo dalla casa editrice “Palabra”) invita a riflettere sia coloro che sono favorevoli all’aborto, sia quanti si battono per i diritti dei bimbi non nati, sia le donne che portano dentro una ferita…

La violenza non è mai la strada per portare il bene

Quando Abby entra in Planned Parenthood, non considera l’aborto un bene, ma pensa che sia un “rimedio inevitabile” in alcuni casi.

È convinta di essere “dalla parte della ragione”, quando sostiene che “interrompere una gravidanza indesiderata sia un diritto”. A rafforzare sempre di più quell’idea, gli atteggiamenti negativi di alcuni esponenti del fronte pro-vita: di fronte alle minacce, alle offese, ai cartelli di cattivo gusto indirizzati alle ragazze in crisi che si dirigono nella clinica, Abby prova rabbia per gli aggressori e compassione verso le giovani vittime.

Le sembra chiaro: al contrario dei carnefici che le assalgono là fuori, i lavoratori della clinica si fanno carico delle sofferenze e dei bisogni di quelle donne sole, fragili, spaventate.

Inoltre, l’obiettivo dichiarato dell’istituzione è quello di ridurre il numero di aborti, grazie alla pianificazione familiare: Abby si aggrappa a quel fine, per giustificare la sua permanenza in un “luogo di morte” (come lo definirà lei stessa più avanti), sebbene non viva del tutto in pace con la sua coscienza.

Un dramma personale

La compassione per quelle ragazze in difficoltà è frutto, tuttavia, anche di un’esperienza personale passata.

A vent’anni Abby scopre di aspettare un bambino da un ragazzo più grande, che ha già un figlio e non vuole averne altri. Davanti a lei, intravede una vita rovinata da quel bebè arrivato “nel momento sbagliato” e non sa che fare. “È semplice…”, le dice allora Mark, il suo ragazzo, proponendole di abortire, con la stessa tranquillità con cui si offrirebbe un bicchiere d’acqua. È l’inizio del travaglio interiore di Abby.

La ragazza abortisce, senza realizzare veramente cosa stesse facendo e senza farne parola con nessuno. Anche quel dramma nascosto la porta a diventare volontaria presso Planned Parenthood, luogo in cui nessuno avrebbe mai giudicato il suo doloroso passato.

La preghiera silenziosa e l’amicizia gratuita

Qualche anno più tardi, Abby si ritrova di nuovo incinta e, quasi senza pensarci, pone fine anche a quella gravidanza, dicendosi: “Non sto ammazzando nessuno, non c’è ancora un bambino formato dentro di me. E poi non ho scelta. Sto solo andando avanti con la mia vita”. La sua relazione con Mark stava volgendo a termine e lei non voleva essergli unita per sempre a causa di un figlio.

Il secondo aborto, però, scaverà in Abby ferite ancora più profonde del primo…

L’aborto era un male… Ormai lo sapeva, ma non riusciva ad ammetterlo.

Nel frattempo, incontra dei sostenitori della vita pacifici e accoglienti: persone che sanno offrire aiuto alle ragazze in difficoltà, anziché urla di disprezzo, che sanno pregare silenziosamente perché trionfi la vita e che propongono con gentilezza un’alternativa all’aborto. Queste persone costringeranno Abby a mettersi in discussione.

A colpirla molto profondamente sarà, in particolare, una loro iniziativa: “40 giorni e 40 notti per la vita”: una campagna consistente nella preghiera incessante per le donne, per i bambini, per i promotori dell’aborto.

“E se avessero ragione? Se il vero bene fosse difendere la vita, sempre e comunque? Se Dio fosse dalla loro parte e non dalla mia? Se io mi stessi sbagliando?”

Queste domande, seppur soffocate, inizieranno a fare ripetutamente capolinea nella mente di Abby…

Le bugie e gli eufemismi non possono cancellare la realtà

Anni dopo la fine della storia con Mark, Abby si sposa con Doug, uomo buono e paziente, col quale avrà anche una figlia. Egli è contrario all’aborto e i due vivono dei profondi contrasti. L’uomo, però, la rispetta e la aiuta a riflettere senza offenderla.

Nel frattempo, Planned Parenthood entra in crisi economica e, sebbene pubblicamente l’istituzione dichiari che il suo scopo è quello di ridurre il numero di aborti, ai dipendenti viene detto con insistenza di trovare il modo di far crescere il numero di aborti per aumentare le entrate (“i guadagni delle cliniche arrivano con gli aborti, non con la pianificazione familiare”). Questa mercificazione di vite umane acuisce il dissidio già presente in Abby.

Ciò che, però, la porterà a dire il suo “basta” definitivo, sarà il fatto di dover collaborare in prima persona ad un aborto –sebbene fosse un’assistente sociale e non un medico – per assenza di personale.

Riportiamo le parole con cui Abby descrive il momento in cui finalmente vede la realtà senza filtri, il momento in cui capisce che con l’aborto non si sta “interrompendo una situazione di disagio”, ma si sta eliminando una vita umana, una persona:

È uguale a Grace a 12 settimane, pensai, sorpresa, ricordando la prima volta che vidi mia figlia, tre anni prima, accovacciata e sicura nel mio ventre. L’immagine che ora stavo vedendo mi pareva la stessa, anzi, era più chiara e nitida. I dettagli mi sbalordirono: si vedevano chiaramente il profilo della testa, le due braccia, i piedi, le dita. Era tutto perfettamente formato. Subito l’ansia sostituì il ricordo di Grace: cosa sto per fare? Sentii una tremenda fitta allo stomaco. […] Stavo togliendo a quella donna il bene più prezioso della sua vita e lei nemmeno lo sapeva.

Questo è l’inizio del viaggio di Abby verso la difesa della vita…

Il potere di un’accoglienza senza condizioni

Abby vede in Dio l’autore della sua conversione. Ella crede, infatti, che il suo cuore e i suoi occhi siano stati aperti dalle preghiere sincere e continue dei suo amici della Coalizione per la vita, dai quali è stata accolta sia prima del suo cambiamento, sia dopo. A seguito del suo cambiamento radicale, Abby è chiamata a comparire in tribunale per difendersi da false accuse, viene tradita da persone che riteneva amiche, si trova di punto in bianco in difficoltà economica, eppure in quel periodo sperimenta una gioia, una pace e un senso di libertà mai provati prima.

Poche settimane dopo la sua conversione, si troverà lei stessa a pregare davanti alla clinica dove aveva lavorato per otto anni, convinta che abortire fosse un diritto.

Un libro che parla di guarigione

Questo libro parla guarigione: guarigione dal cinismo, da una mentalità di morte, guarigione dalle menzogne che ci raccontiamo per far tacere la coscienza, guarigione dalla schiavitù del denaro, guarigione dagli eufemismi che nascondono la verità, guarigione dagli errori commessi in passato.

È un libro che fa riflettere sulla pazienza di Dio e sul valore del rispetto per chi secondo noi vive nell’errore.

Quando Abby lavora ancora nella clinica di Planned Parenthood, inizia a frequentare una comunità cristiana protestante, dalla quale, però, viene cacciata per la professione che svolge. “Se solo avessero provato a farmi capire che sbagliavo, invece di allontanarmi…”, affermerà Abby conrammarico, dopo la sua conversione.

Pensiamo alla storia di Abby quando diventiamo intolleranti e aggressivi, pensiamo ad Abby per tenere a mente che per aiutare qualcuno a riconoscere i suoi sbagli servono amore e vicinanza.

Pensiamo ad Abby anche quando perdiamo le speranze, quando non vediamo cambiamenti intorno a noi, quando ci sembra che il mondo sia inghiottito dal male.

Questa testimonianza ci insegna che ciò che non accade in otto anni, può succedere in tre settimane.

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